La sfida di Spagnolli: un'unità di cardiologia in Zimbabwe

In Zimbabwe il medico trentino Carlo Spagnolli ha realizzato un piccolo grande miracolo: un'unità di terapia intensiva cardiologica, la prima e unica nell'intero Paese. Un progetto nato quando Spagnolli era paziente a Trento, proprio in Ucic. Lì, insieme al primario Roberto Bonmassari e alla sua èquipe, fatta di medici e infermieri trentini, nasce l'idea. Che oggi è realtà, grazie a pochi soldi (pochi rispetto, ad esempio, alle cifre dei vitalizi) e a tanto cuore. Ecco la stupenda storia(Nella foto Carlo Spagnolli insieme ai medici trentini a Chinhoyi)

di Renzo Moser

spagnolli africaÈ tutta una questione di cuore. Il cuore grande di chi, come Carlo Spagnolli, ha dedicato la propria vita all'Africa e alle sue innumerevoli ferite; il cuore grande di chi, avendolo incrociato per i motivi più diversi, gli è rimasto accanto e lo ha accompagnato per un tratto di quel difficile sentiero; il cuore grande di tanti trentini che, anche da lontano, gli sono vicini e non fanno mancare la loro solidarietà, anche in tempi difficili come questi. E poi c'è il cuore malato di tanti, tantissimi africani, uomini, donne, bambini, molti dei quali senza speranza.
È il cuore, insomma, il filo rosso dell'ultima, bellissima sfida che Carlo Spagnolli ha lanciato quando era in un letto della rianimazione dell'ospedale Santa Chiara di Trento, con davanti delle prospettive che lui stesso definisce «niente affatto rosee». Siamo nel febbraio del 2012: il medico trentino, da sempre impegnato per portare solidarietà e salute nel cuore dell'Africa nera, colpito da un infarto nello Zimbabwe, viene operato a Trento. Sono giorni drammatici, Spagnolli  lotta fra la vita e la morte. Ma anche in quei momenti, il suo pensiero corre a ciò che ha lasciato. «Quando giunse dallo Zimbabwe con un grande sorriso stanco mi disse solo questo - ricorda oggi, con una certa emozione, Roberto Bonmassari, primario di cardiologia del Santa Chiara - rimettimi in sesto perché devo tornare laggiù». Così è stato.
Ma da quella ferita al cuore sono nate molte cose. Come l'amicizia con i medici che lo hanno curato («Un bellissima amicizia», precisa Spagnolli), ma soprattutto un'idea, che è diventata progetto, e quindi realtà. Con il cuore sempre in primo piano, ovviamente.
«Fin da quando ero in rianimazione - racconta Spagnolli, che abbiamo incontrato in occasione dell'ultima "vacanza" trentina e alla vigilia del suo ritorno nello Zimbabwe - ho pensato che avremmo potuto mettere in piedi laggiù un'unità di terapia intensiva cardiologica: in tutto lo Zimbabwe non ce n'è neppure una ». «Laggiù» è l'ospedale provinciale di Chinhoyi, dove Spagnolli opera da tempo. Una struttura ben costruita dai cinesi e «regalata» a Mugabe, provvista di un'unità di terapia intensiva inutilizzata. Ci sono le sale, i posti letto, ma niente macchine e niente personale qualificato. Non è un'eccezione, è la regola in un paese con una situazione sanitaria drammatica, con una mortalità infantile che colpisce 81 nati su 1.000, e una speranza di vita di 37 anni, tra le più basse di tutto il mondo. Non c'è, tanto per intendersi, una cardiochirurgia in tutto il paese. «Per la verità - osserva Spagnolli - questo vale più o meno per tutta l'Africa, se escludiamo ospedali privati  in Sudafrica e il centro di Emergency in Sudan». Eppure ce ne sarebbe bisogno: «Sono molti gli africani, spesso giovani, con patologie cardiache che da noi sono state debellate ma che in Africa fanno ancora numerose vittime, sono molto frequenti la febbre reumatica e le cardiopatie su base infettiva, quelle congenite e quelle dovute a grave ipertensione arteriosa e diabete mellito, una vera epidemia. Alla base di tutto c'è, come sempre, l'estrema povertà, e sono pazienti destinati a morire».
Insomma, col cuore in convalescenza Spagnolli ha pensato che forse era giunto il momento di riempire di macchine, uomini e pazienti quella struttura vuota. Il primo passo, ovviamente, è stato quello di raccogliere i fondi necessari. «La prima cosa che l'Africa insegna è individuare le priorità. Il problema sostanziale è proprio la disponibilità di fondi». I fondi si trovano: in prima fila, gli amici di sempre, la onlus «Lifeline Dolomites, con l'immancabile Claudio Merighi, e la Provincia di Trento, con i tanto vituperati fondi della cooperazione internazionale. Altri concorrono, come la associazione dei cardiopatici trentini Almac. I soldi servono all'acquisto delle macchine necessarie a far partire l'unità: un elettrocardiografo (non ne esisteva nemmeno uno nell'ospedale di Chinhoyi), un ecocardiografo, un defibrillatore, un intensificatore di immagini, una stazione di monitoraggio. La dotazione di apparecchiature ha un valore di mercato di oltre 200mila euro, ma viene acquistata per circa 60mila grazie alla ditta «Ams» di Trento. Impacchettata nei container, in febbraio viene spedita a Chinhoyi.
Da quando comincia a prendere corpo, il progetto «Cardiologia di emergenza in Zimbabwe» viene condiviso e approvato dal ministero della Sanità del paese africano, che si accolla il costo di personale e farmaci. Il personale, però, va formato: l'Azienda sanitaria apre le porte a medici e infermieri di Chinhoyi che trascorrono in Trentino, presso la Cardiologia di Trento e di Rovereto, un intenso periodo di training negli ultimi 3 mesi dell'anno scorso. L'obiettivo è quello di sviluppare delle competenze autonome.
Manca poco per partire. In marzo, da Trento, parte la prima équipe di specialisti, destinazione Chinhoyi. Ne fanno parte lo stesso primario Roberto Bonmassari, la dottoressa Prisca Zeni e l'infermiera Roberta Iori. Restano in Africa dal 7 al 15 marzo. Tocca a loro settare le apparecchiature e accogliere i primi pazienti. La voce dell'apertura dell'unità di terapia intensiva si sparge in fretta in tutto il paese, e sull'ospedale di Chinhoyi si riversa un'ondata di pazienti. «Arrivavano da tutto il paese - racconta Bonmassari - anche da molto lontano. Spesso a piedi, in condizioni molto precarie, a volte in fin di vita». Bivaccano in ospedale, attendono per ore ed anche per giorni senza mai lamentarsi: per molti di loro quella nuova struttura è l'unica speranza di vita. Una seconda équipe dà il cambio ai colleghi di Trento: la guida Domenico Catanzariti, responsabile della Struttura semplice di «cardiologia invasiva» dell'ospedale di Rovereto, e ne fanno parte Lara Zago, bioingegnere, e le infermiere Ivonne Righi, Francesca Bandera, Nicoletta Bonora e Marcela Dimitriu.
Il lavoro, per i due gruppi, è intenso, incalzante: sono oltre trecento i pazienti visitati in pochi giorni. Per il personale locale è stata una sorta di «training on the job», che si ripeterà, perché le équipe trentine torneranno presto, una a luglio e l'altra in autunno. Per arrivare a regime, ci vorrà un anno: l'obiettivo è marzo 2015. Un piccolo, grande miracolo.
Twitter: @moserladige

 

COME AIUTARE L'OSPEDALE
Per chi volesse contribuire ai progetti di solidarietà portati avanti da Carlo Spagnolli, La onlus Lifeline Dolomites mette a disposizione un conto corrente bancario, numero 03/05/25680-1 (Abi 08161 Cab 35780 CIN Z), presso la Cassa Raiffeisen Ag. Vigo di Fassa, con codice IBAN: IT 39 Z 08161 35780 000305256801, e un conto corrente postale numero 29514312. È possibile inoltre devolvere il «5 per mille» della dichiarazione dei redditi indicando il seguente codice fiscale: 02032240224.

comments powered by Disqus