Rossi, Rossini e la libera Svizzera

di Paolo Ghezzi

Affaticati da cicliche e cacofoniche chiacchiere - convegni, collegi, consigli condominiali, celebrazioni, cerimonie, cene, conferenze, collegamenti, comunicazioni, confessioni, conciliaboli e chat - in cui ci si parla addosso senza perseguire l'aurea arte della concisione, gli spettatori del concerto dell'autonomia, domenica sera, hanno potuto apprezzare la versione minimalista non-presenzialista della festa dell'autonomia. Né il presidente della giunta provinciale né il presidente del consiglio provinciale sono saliti sul palco del Sociale, a Orchestra Haydn schierata, a socializzare col popolo.

Eppure era una delle rare occasioni in cui un «breve ma sentito» indirizzo di saluto, non si dice un discorso, sarebbe stato opportuno e ben accetto (l'ingresso gratuito predispone il pubblico alla benevolenza verso chi il concerto offre).
Rossi è invece rimasto seduto in prima fila, basso profilo, sotto le righe, mandando il capo ufficio stampa a presentare brevemente l'evento. Ne è seguito un concerto anch'esso minimalista, meno di un'ora di musica. Un celeberrimo pezzo italiano e la Quinta di Beethoven. Poi tutti a casa, senza neppure le autonomistiche bollicine Trento doc.

Evento sobrio, non c'è che dire. Quasi francescano. Sono tempi duri e la politica si adegua. Non suona la tromba. Semmai, si affida ai violoncelli del bellissimo incipit della sinfonia dal «Guglielmo Tell».
Rossi, insomma, ha lasciato parlare Rossini. Genio pesarese risciacquato in Francia, qui nella sua ultima opera, «un peccato di vecchiaia».
Curiosa la scelta del Tell, a dire il vero. Nessuna parola di spiegazione nel programma di sala, che pure ha dedicato due pagine al direttore Volmer e una all'Orchestra. Per un prologo della giornata dell'autonomia che ha ribadito l'importanza storica dell'accordo De Gasperi-Gruber (accordo italo-austriaco, dunque) il presidente filo-sudtirolese della Provincia di Trento ha consegnato il palcoscenico a un'opera anti-austriaca.

La scena del Guglielmo Tell è la Svizzera del 1300, sulle rive del lago di Lucerna, Cantone di Uri. Le imperiali truppe occupanti mortificano l'autonomia degli elvetici e imperversano agli ordini di un comandante cinico e sadico con un un'inquietante assonanza con il nome di un padre dell'autonomia nostra (oltretutto, solandro come Rossi): il «tristo» Gessler è infatti il protagonista negativo della storia.

È lui che costringe l'indomito arciere Tell a giocare con la vita del figlio, costretto a colpire con la freccia il «pomo» posato dagli austriaci sulla testa del giovane e coraggioso Jemmy (o Gualtierino). Per fortuna Guglielmo ha la mira buona e il ragazzo si salva: ma quali altre angherie austriacanti devono affrontare i prodi svizzeri nel corso della lunga opera, lo sa chi ha avuto la fortuna di ascoltare l'intero capolavoro rossiniano.
I sudtirolesi potrebbero rivedersi, a ruoli ribaltati, alle prese con i «vincitori» fascisti saliti dalla nemica Italia; i trentini autonomisti possono illudersi di essere in fondo, come si diceva un tempo, «n'altra Svizzera», con le comunità di valle al posto dei Cantoni.

Ma il frizzante sapore anti-asburgico del Tell rimane, nel menu musicale della festa dell'autonomia trentina. Bastano un paio di citazioni, dal libretto italiano (l'originale rossiniano è in francese), per dare il clima della vicenda che mischia le sofferenze famigliari, gli affetti e le amicizie, all'ansia di libertà di un popolo che non si rassegna all'occupazione. Soldati (gli austriaci): «Sì, sì, struggiamo,/ Tutto incendiamo,/ Orma non resti/ D'abitator./ Strage e rovina/ Sia la lor sorte./ Lampo di morte/ È il suo furor».

Tutti (gli svizzeri): «Giuriam, giuriamo/ Pei nostri danni,/ Per gli avi nostri,/ Pe' nostri affanni,/ Al Dio de' regi/ E de' pastor,/ Di tutti abbatter/ Gli empi oppressor».
Vero è che la sinfonia-ouverture dell'opera era senza parole: e la «cavalcata» finale può dunque risuonare come anticipo dell'universale inno di libertà (che scende dai cieli) dell'epilogo, ben conosciuto da generazioni di italiani come sigla della fine dei programmi Rai.
Libertà è dunque una corsa veloce, una corrente di vento, rapida come quella freccia di Guglielmo Tell che dall'arco scocca per salvare una vita, un ragazzo, il futuro di un piccolo popolo: in una piccola patria che riparte dal sacrificio liberatorio di una piccola mela.

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