L’editoriale / Il direttore

Il grande significato di quella grazia

Ecco l’importanza della grazia che il presidente Sergio Mattarella ha concesso al "bravo ragazzo della valle Aurina" Heinrich Oberleiter

Fare i conti col passato è necessario, ma sempre difficile. A maggior ragione in Alto Adige. In una terra ancora lacerata, al di là di sforzi encomiabili e apparenze ingannevoli. La cenere ha spesso solo coperto, ma non spento, il fuoco, le ostilità. C'è chi il fuoco anzi lo alimenta: pezzi di una politica che al terrorismo altoatesino è rimasta aggrappata come se fosse un amuleto, una ragione per esistere e resistere. Ma c'è anche chi quel fuoco l'ha combattuto di giorno in giorno, tentando di guardare oltre i morti, oltre gli attentati, oltre il sangue.

La maggioranza degli altoatesini ha intrapreso da tempo questa strada: che non è il sentiero del perdono, ma il tentativo di comprendere, rammendando gli strappi con il dialogo e non con le armi. Qui, ma pure a Roma e a Vienna, ci sono persone che anche nei periodi più drammatici hanno investito sulle parole. Sulla convivenza possibile. Sulla capacità, non di condividere la storia (sforzo impossibile e inutile), ma di smettere di usarla per dividere ancora. Grazie soprattutto a persone come Berloffa, come Magnago, come Moro, come Andreotti, il contesto storico e politico è profondamente mutato.

E c'è soprattutto questo cambiamento, questo passo verso il futuro, nella grazia che il presidente Sergio Mattarella ha concesso al "bravo ragazzo della valle Aurina" Heinrich Oberleiter. Insieme ai suoi complici Siegfried Steger, Sepp Forer ed Heinrich Oberlechner, Oberleiter era ovviamente tutt'altro che un bravo ragazzo. Era un combattente. Un terrorista. Un protagonista di un gruppo che era disposto a tutto per "liberare" questa terra da un'Italia che ha invece quasi sempre saputo andare al di là delle bombe, al di là del terrore e persino dei troppi morti che quella guerra si porta ancora dietro e dentro. Ed ecco perché la grazia fa discutere. Indigna persino.

C'è chi l'avverte come uno schiaffo su un volto sempre dolente («una doccia gelida per gli italiani» dice Biancofiore). C'è chi vorrebbe di più (i giovani della Svp puntano sulla grazia per gli altri terroristi). E c'è chi giustamente chiede rispetto: le famiglie delle vittime, che rischiano di veder passare per eroi (graziati) i carnefici dei loro padri. Mattarella sa bene che la grazia a un terrorista che ha combattuto contro lo Stato italiano non può essere neutra. Il suo è un atto coraggioso e insieme rivoluzionario. Significa fare i conti col passato, lasciandolo appunto passare. È il concreto inizio di un processo di pace che si sta costruendo da anni e che per compiersi ha bisogno anche di atti che agli occhi di alcuni saranno sempre inaccettabili. Atti figli di elementi nuovi e oggettivi: il pentimento e il ripudio, da parte di Oberleiter, della violenza degli anni Sessanta; il fatto che lui non abbia ucciso e il perdono concesso dalle persone offese. Atti, ancora, figli di una nuova stagione nella quale tutti dobbiamo cercare di credere.

Quella della riconciliazione e del bilanciamento tra giustizia e umanità (la grazia concessa dal capo dello Stato è soprattutto questo). Senza mai dimenticare chi ha perso la vita lungo questo sentiero pieno di bombe, di incomprensioni e di dolore.

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