Ambiente / Editoriale

Transizione sociale, non "solo" ecologica

Per cambiare il mondo, come ha ricordato proprio il ministro, si investiranno qualcosa come 40 milioni al giorno. Per farlo, però, è necessario essere all'altezza della situazione

TRENTO. Cala il sipario sulla giornata mondiale dell'ambiente, celebrata in mille modi, col rischio d'essere oggi già dimenticata. Una rapida pennellata verde su idee e pensieri e poi via, subito a pensare ad altro. Eppure non c'è sfida più importante di quella ambientale, per chi abbia voglia non solo di abitarlo, ma anche di costruirlo, il futuro.
 

E la transizione ecologica - di cui abbiamo parlato anche al Festival dell'economia di Trento con il ministro Cingolani, con la professoressa Bosetti, con manager come De Alessandri e Ghiselli e col sindaco di Trento Ianeselli - è la grande scommessa di questo tempo. Per cambiare il mondo, come ha ricordato proprio il ministro, si investiranno qualcosa come 40 milioni al giorno. Per farlo, però, è necessario essere all'altezza della situazione.

Vale per il nostro Paese, per l'Europa, per il nostro territorio, per le nostre città. Vale per le generazioni che stanno crescendo con nuove consapevolezze. Nuovi e tutt'altro che tradizionali, per ragazze e ragazzi, molti lavori. E nuove anche le opportunità in un mondo che s'è messo improvvisamente a correre, finalmente consapevole d'essere un malato potenzialmente terminale. La transizione non è però una bacchetta magica da brandire: i progetti partono ora e in parte sono partiti da tempo, ma il traguardo è fissato nel 2050. Servirà dunque una nuova mentalità, serviranno nuove energie, serviranno idee capaci di farsi ponte fra una vecchia idea di impresa e di economia e una nuova idea di sviluppo.

Non basta parlare di sostenibilità, per intenderci: serve infatti ben altro. Interessante l'immagine usata dal ministro per far capire il senso del periodo che ci apprestiamo a vivere: prima raccogliamo i frutti che sono a terra (in termini di energia, di costruzioni, di un passato importante che non si può certo buttare via in un minuto) e poi dedichiamoci ai nuovi rami e ai nuovi frutti (in parte tutti da costruire e da inventare, accettando anche l'idea che si possano fare degli errori, a patto che si vada tutti in un'unica direzione). La transizione ecologica avrà però un senso non solo se sarà anche economica, ma soprattutto se sarà sociale. Convertire una produzione può persino essere semplice.

Convertire donne e uomini, lavoratrici e lavoratori di oggi e di domani richiede invece una transizione fatta di formazione continua, di nuovi paradigmi, di diverse diseguaglianze (fra persone, fra Stati, fra città, fra regioni...) da abbattere, di dialoghi fra generazioni, di scuole, di università e di politiche interconnesse con ciò che si andrà a disegnare. Il che, in un Paese per diverse ragioni instabile come il nostro, nel luogo in cui la burocrazia (che non va mai confusa con regole necessarie e con controlli fondamentali) ricorda sempre più un'idra a troppe teste, non è esattamente semplicissimo. Ma non c'è un'alternativa. Del resto, come diceva Mark Twain, tra vent'anni non sarete delusi dalle cose che avete fatto ma da quelle che non avete fatto. Esplorate. Sognate. Scoprite.

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