La lettera di Papa Luciani al “caro Hofer” e l’inizio della repressione fascista

La lettera di Papa Luciani al “caro Hofer” e l’inizio della repressione fascista

di Luigi Sardi

Fra storie e leggende delle battaglie del Berg Isel e della rivolta tirolese alle truppe di Napoleone si scopre la profonda religiosità che segnò i protagonisti della sollevazione del 1809 esaltata dal patriarca di Venezia Albino Luciani, divenuto papa Giovanni Paolo, che aveva sottolineato nella famosa raccolta intitolata “Illustrissimi”, la straordinaria influenza che ebbe la religione sulla vita di Andreas Hofer. Il patriarca si rivolge al Generale Barbon con un “caro Hofer”, raccontando la devozione di quell’oste entrato come eroe nel cuore dei tirolesi.

In quell’epoca, spiega Luciani, il Tirolo era caratterizzato “da una profonda tradizione cattolica che permeava tutta la vita della popolazione”. Erano stati i gesuiti che alla metà del 1700 avevano trasformato il Tirolo in una “santa terra” introducendo la devozione al Sacro Cuore di Gesù. Ogni giorno si celebravano sante messe, si venerava la Madonna che compariva su bandiere e stendardi, processioni e pellegrinaggi erano una costante. E si pregava prima e dopo in pasti, ogni piccola frazione aveva la sua chiesa, la gente si salutava con un “sia lodato Gesù Cristo” e lungo i sentiero si vedevano crocifissi scolpiti nel pegno, sempre ornati con mazzolini di fiori di campo.

Nelle Stuben, quelle bellissime stanze foderate di legno che caratterizzano ogni maso, l’angolo che sta di fronte alla porta d’accesso, quindi ben visibile a quanti entrano in quel luogo, mostra i simboli della profonda religiosità che certamente caratterizzò la gente del Tirolo: il crocifisso, le fotografie degli antenati, spesso una immagine del comandante supremo dell’insurrezione tirolese racchiusa in una cornice accuratamente intagliata nel legno. Ecco da Beda Weber lo scrittore tedesco autore dalla tragedia Spartacus, i racconti di molti contemporanei di Hofer a sottolineare “la grande religiosità del Generale Barbon” mentre Johann Staffler, compaesano di Hofer, lo descrive come un uomo “profondamente onesto e ragionevole, buono, gentile, sereno, sempre guidato da un senso cristiano”.

Anche nel Tirolo erano arrivate dalla Francia le idee illuministiche destinate a mettere in discussione la fede e le tradizioni, già accolte fra il 1780 e il 1790 dall’imperatore Giuseppe II, il figlio di Maria Teresa che, nel segno dell’illuminismo, aveva affrontato una riforma religiosa. Quando con la sconfitta di Austerliz e con la pace di Presburgo Napoleone si prese il Tirolo aggregandolo all’alleata Baviera, le antiche usanze religiose vennero represse. Fra le proibizioni, e furono veramente tante, che più di altre colpirono la fantasia, quella di suonare la campane contro i pericoli dei temporali, le novene, le processioni e la messa canta di mezzanotte a Natale.

L’oppressione religiosa mise in pericolo l’identità tirolese e la ribellione si scatenò anche contro l’aspetto illuministico delle idee portate dagli eserciti di Napoleone, esportatori della rivoluzione francese. Arrivò, dopo la Grande Guerra, un’altra ondata di proibizioni: quelle dettate dal fascismo. Venne vietato l’uso della lingua tedesca nelle scuole, negli uffici pubblici, persino sulle lapidi nei cimiteri. I nomi tedeschi vennero italianizzati alla buona, seguendo il cupo dettato di Ettore Tolomei. Vietati i tradizionali costumi, le antiche canzoni, i cortei. Si ricorda la Domenica di Sangue, quella del 24 aprile 1921, giorno della Bozner Messe, la fiera campionari di Bolzano. Un manipolo di fascisti comandato da Achille Starace piombò sul corteo e uccise il maestro Franz Innerhofer. Delitto impunito, commesso dai reduci delle trincee del Piave, del Montello, del Grappa, i “trinceristi” che stavano diventando squadristi. Era cominciata non l’italianizzazione ma la fascistizzazione del Alto Adige  - si finiva in galera a chiamarlo Sudtirolo – che per vent’anni soppresse la cultura tirolese. Si vietarono anche i tradizionali fuochi, persino quelli religiosi dell’ Herz - Jesu – Feuer.

I “fuochi della montagna” erano stati proibiti già nel 1919. Si cominciò proibendo quelli che s’accendevano la sera della prima domenica di Quaresima per ricordare i tempi della peste e scacciare, con la luce delle fiamme, la paura del contagio. Un rito pagano se si vuole, ma era una tradizione che si perdeva nella notte dei tempi. Georg Klotz era ancora un ragazzetto quando decise di accenderne uno nei prati di St. Leonhard in Passiria; il bagliore fu imponente, i Reali Carabinieri lo videro, indagarono, scoprirono che ad accendere quel falò era stato quel ragazzetto di 12 anni che parlava solo tedesco. E lo picchiarono brutalmente. Questo lo si legge a pagina 30 del libro “Georg Klotz, una vita per l’unità del Tirolo” forse il più bello e il più completo per conoscere un capitolo di storia della terra da Borghetto al Brennero. Una pagina, quella del pestaggio, davvero poco edificante nella gloriosa storia dell’Arma.

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