Funivia del Bondone: dov'è il business plan approfondito?

Funivia del Bondone: dov'è il business plan approfondito?

di Michele Andreaus

In questi giorni domina sul giornale il dibattito sul progetto del collegamento funiviario tra la città di Trento ed il Monte Bondone. Progetto non nuovo in sé, dato che si iniziò a sognarne nel lontano 1925, allorquando la nuovissima funivia di Sardagna avrebbe dovuto rappresentare il primo tratto del collegamento.

Ora pare che vi sia un progetto fattibile, supportato da un business plan che promette meraviglie, come peraltro buona parte dei business plan quando si tratta di decidere un investimento.
Non ho avuto modo di leggere il documento, quindi non entro nel merito. Ho però avuto modo di seguire il dibattito sulla stampa locale, quindi ho trovato qualche risposta, alcune domande mi sono rimaste aperte, altre se ne sono poste. Innanzitutto la prima domanda che mi pongo è relativa a come sia stato strutturato il business plan.
Certo, c’è una previsione di medio lungo termine.

Viene allestita una previsione di medio lungo termine delle dinamiche finanziarie ed economiche, ma queste dinamiche dovrebbero essere frutto di ipotesi che vengono poi declinate in dati contabili. Di conseguenza, la sostenibilità del business plan non è tanto sui margini che esso produrrà (come accennato, in genere queste previsioni sono sempre positive), ma sulla solidità delle ipotesi sottostanti.
Mentre sulla sostenibilità finanziaria ed economica pare non vi siano dubbi, addirittura con la coda di investitori privati pronti a mettere sul tavolo importanti risorse finanziarie, sulle ipotesi sottostanti non sono stato in grado di farmi un’idea precisa.
Ritengo che non ci sia chiarezza, o per lo meno non la ho percepita, circa il fine del collegamento, il contesto nel quale questo investimento è calato. In altri termini, esso è il fine o strumento?

L’obiettivo dello sviluppo strategico del Bondone e della città di Trento è avere il collegamento funiviario? O esiste un piano strategico un po’ più robusto che ipotizzare che buona parte dei visitatori dei mercatini di Natale e del Muse spendano 17 euro a testa per salire in Bondone, ogni giorno dell’anno, anche con nebbia, pioggia, neve e vento? I numeri di biglietti venduti sono quelli che derivano dalle ipotesi fatte o sono quelli che servono per far stare in piedi il progetto?

Questi supposti 17 euro, vanno ad incidere su una domanda molto elastica, che tendenzialmente reagisce in modo più che proporzionale all’aumentare dei costi. Aggiungendo il costo del giornaliero in alta stagione, una famiglia di due persone adulte e due ragazzi spenderebbe 185 euro per una giornata sugli sci in Bondone, parcheggiando la macchina a Trento e salendo in telecabina. Il costo è più o meno quello che la famigliola spenderebbe andando a sciare in Dolomiti (Superski Dolomiti) o a Campiglio, spenderebbe di più che andare a sciare nel comprensorio della val di Fassa o del Lusia, ovviamente senza tenere conto del carburante. E ancora, quanti sciatori del Bondone, a fronte di questi costi, si sposterebbero nelle località limitrofe, quali Folgaria, Paganella, ma anche Cermis o, perché no, Panarotta?
Il trend climatico rende ahimè sempre più a rischio il futuro delle stazioni sciistiche collocate a quote prevalentemente al di sotto dei 2.000 metri, quali il Bondone. Un futuro senza neve, o con meno neve, come andrà ad impattare sull’attrattività turistica del Bondone? Attenzione, non dico che sia una partita persa, ma è qui che non sono proprio riuscito a cogliere il piano strategico che dovrebbe indicare se il collegamento alla fine serve o non serve.
In definitiva, il progetto dovrebbe inserirsi nella visione e nella pianificazione dello sviluppo di Trento nei prossimi decenni. Stiamo parlando di un progetto che potrebbe e forse dovrebbe ridefinire il modo stesso di vivere in e di vivere la città di Trento. Questo richiede visione e capacità di individuare i percorsi per realizzare questa visione. Non basta un breve sondaggio condotto su persone che, a pelle, dicono «che bella la funivia» per dire che serve e che sta in piedi. Il problema non è tecnico, l’ingegneria funiviaria consente ormai quasi tutto. La questione è strategica nel senso ampio, che prescinde dalla questione della mobilità, ma ha molto a che fare con la pianificazione del territorio, la definizione delle sue identità, che diventano elementi di attrattività, ha a che fare con le dinamiche sociali e quindi con la dimensione più alta delle scelte politiche. Ed è su queste scelte politiche alte, che può anche essere considerato sostenibile un investimento che genera margini finanziari negativi, ma che ha un impatto positivo, che genera esternalità positive e riduce quelle negative, nella consapevolezza che l’analisi costi benefici è una cosa seria, non dei numeri messi lì per giungere ad un risultato predeterminato.
Certo, se il collegamento funiviario fosse l’occasione per provare a prendere decisioni «grandi», di visione, in grado di superare la dimensione troppo spesso piccola delle scelte politiche, allora anche questo andrebbe certamente considerato tra i «benefici» dell’investimento.

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