Non lasciamo le chiese vuote

Non lasciamo le chiese vuote

di Franco De Battaglia

Ci preoccupiamo tanto delle chiese vuote quando non vi è alcuna fraternità nella nostra società e vi sono parrocchie dove la frequentazione degli edifici religiosi è solamente una questione di consuetudine. Ora dobbiamo creare comunità accoglienti. Occorre una fede vera, non di facciata. Non temo tanto il progressivo venir meno di fedeli, quanto di notare una carenza di fraternità tra la popolazione.

Mons. Lauro Tisi , Vescovo di Trento

(Assemblea Diocesana, 24 settembre 2016)


Q ueste parole, schiette e un po' provocatorie del nuovo vescovo tridentino, inducono a riflettere sulla Chiesa di San Vigilio e sul momento storico che attraversa. Coinvolgono non solo gli ambienti ecclesiastici, ma tutti i cittadini e i laici, perché nel Trentino la Chiesa ha sempre avuto un ruolo anche sociale, civile, non solo devozionale. Una fede che trascinava le opere. Un esempio su tutti è la chiesa di Cloz, promossa nella sua costruzione - mura e sassi che hanno coinvolto spiritualmente una comunità, - da don Guido Bortolameotti, allora parroco, poi divenuto vicario generale, durante gli anni della seconda grande guerra. Chiesa dunque anche come «chiese», luoghi dove la fede e la buona volontà delle persone si incontrano, si esprimono, si incarnano nelle opere.

La Chiesa nel Trentino, infatti, non è stata solo riti di facciata, ma ha promosso il riscatto delle campagne attraverso la cooperazione, ha istituito gli asili e le case di riposo, ha aperto le mense per i poveri (l'oratorio di Santa Maria! i frati della Cervara) ha dato spazi di libertà ai giovani durante il fascismo (Juventus) ha confortato chi moriva nel gelo di Russia (don Onorio Spada) ha accolto in Duomo gli operai della Michelin che rischiavano di restare senza lavoro. Oggi accoglie i profughi. Occorre ricordare questi passaggi che hanno «fatto Chiesa», ma hanno anche trasformato «le chiese» in luoghi e momenti di comunità «insieme», in pagine di storia, alternative anche al potere politico, quando questo diventava opprimente o corruttore. È opportuno ricordarlo oggi che il Trentino si trova su frontiere difficili, come rammenta lo stesso vescovo Tisi. La modernità non è solo positiva, come poteva apparire negli anni Sessanta, apre nuove solitudini, pone problemi di coscienza inquietanti, richiede «discernimento» come usa dire il papa, limiti da osservare e autoimporsi.

Ma questo discernimento che porta alla fraternità, invece che all'egoismo, non può nascere da solo, ha bisogno per crescere di un terreno predisposto, «arato», da messaggi ed esperienze che lo rendano fertile. Ha ragione allora il vescovo a dire che la fede non si misura dall'andare in chiesa, ma è anche vero che la chiesa - il luogo chiesa, dove si tengono le assemblee, le funzioni, dove si può andare a pregare liberi per un attimo da telefonini e altoparlanti - è un segno importante sul territorio, fra le persone. Non è irrilevante. È un riferimento, una storia alla quale ispirarsi, un futuro con cui confrontarsi. Uno stimolo a trovarsi insieme e ad educarsi. Non basta certo andare a messe celebrate da preti ormai pendolari, ma le chiese riempiono spesso i vuoti dovuti proprio all'assenza di sacerdoti.

Si sente dire: «Tocca ai laici», ed è vero e ormai necessario. Ma anche i laici litigano se non sono motivati, responsabilizzati, mentre le chiese vuote possono anche riempirsi con occasioni adeguate. Occorre riconoscerlo. Dopo la cresima molti giovani non vanno più a messa per tante ragioni fra le quali quella che non sono pronti - fra precariato e happy hour - ad accogliere le parole spesso dirompenti del vangelo. Domenica scorsa, quella pagina durissima su Lazzaro e sulla dannazione del ricco egoista che non gli lasciava nemmeno le briciole, metteva davvero in gioco tutti e tutto. La nostra chiesa aveva larghi vuoti fra i banchi, ma quella stessa domenica fra Segonzano e Piné oltre 80 persone, fra cui moltissimi giovani, seguivano un lungo pellegrinaggio fra due chiese, la Madonna dell'Aiuto e la Comparsa, venti chilometri sui sentieri, fra parole di amicizia, preghiere, meditazioni e anche un pic-nic a metà strada. Due chiese di riferimento, due santuari, un prete-amico che sa guidare il percorso? Ci diceva un vecchio prete: «Basta a volte un sacrestano per tenere aperta una chiesa, che può riempirsi quando qualcuno entra per una preghiera, quando due donne attendono per dare una parola buona. Datemi un sacrestano e vi lascio i teologi».

Esistono già nel Trentino, esperienze in questo senso: un sacrestano, un piccolo coro danno vita a una chiesa, la trasformano in comunità. Ma anche il piccolo coro deve essere preparato, sostenuto, non improvvisato ? Insomma, per raggiungere «la Chiesa» non dimenticate «le chiese»!

fdebattaglia@katamail.com

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