Il fallimento di Tsipras (e dei greci)

Il fallimento di Tsipras (e dei greci)

di Pierangelo Giovanetti

Oggi si saprà se la Grecia rimarrà nell'euro, o uscirà dall'eurozona. In realtà dall'Europa la Grecia è già uscita. O meglio, non vi è mai entrata, come dimostra l'intero percorso compiuto da Atene, dall'introduzione dell'euro fino al referendum di domenica scorsa, fatto di avversione alle regole comunitarie, disprezzo verso gli altri stati membri dell'Unione, non volontà di fare le riforme come hanno fatto gli altri paesi, giochi d'azzardo e ricatti continui, come si fa quando si vuole fregare l'avversario e non trovare un'intesa con dei partner di una comune Unione. L'errore più grande compiuto da Bruxelles in questi anni non è stato quello di pretendere il pagamento dei debiti contratti, magari imposto più per salvare le proprie banche (soprattutto tedesche e francesi, le più esposte verso Atene) che per spingere la Grecia a cambiare rotta. L'errore più grande è stato quello di ammettere la Grecia in Europa, non avendo non solo i bilanci a posto (erano tutti falsificati, e privi di ogni corrispondenza reale), ma soprattutto non avendo la disponibilità dei governi e della stessa popolazione greca a voler far parte dell'Europa, cioè ad appartenere ad un'unica comunità con dei diritti ma soprattutto dei doveri, con regole comuni, con obiettivi comuni, e con la volontà di contribuire tutti - in base alle proprie possibilità - ad autoriformarsi per garantire una crescita generale.

Far parte dell'Europa - cioè di una comunità di popoli e di destini più grandi dei propri confini nazionali, e del proprio tornaconto assistenzialista e irresponsabilmente statalista - vuol dire cedere parte della propria sovranità per costruire una sovranità più grande. Significa concepire la democrazia non come un pugno in faccia agli altri. Un pugno in faccia di uno dei popoli membri dell'Unione verso gli altri popoli e le altre nazioni (perché questo indebolisce la democrazia europea, non la rafforza, anzi la porta a disgregarsi). Democrazia è tener conto delle ragioni di tutti, cercando di trovare un'intesa con gli altri, dando il proprio contributo a migliorare e re-indirizzare la linea politica ed economica dei paesi europei, non a sfasciare l'intera Unione.

Il referendum di domenica scorsa avrebbe avuto un senso se si fosse tenuto in tutti i paesi dell'Unione, ascoltando la voce di tutti i cittadini europei. Non può essere che un paese di 10 milioni di elettori decide le sorti e il futuro per gli altri 350 milioni di cittadini. Non c'è idea di una democrazia comune, né di un'appartenenza comune in tutto questo. Non esiste in sostanza consapevolezza di essere parte dell'Europa. Far parte dell'Europa vuol dire condividere le regole che ne stanno a fondamento, compresa quella della fiducia reciproca, senza inganno, furbizie, trucchi da illusionisti o bluff da giocatori di poker. Le regole si possono cambiare, insieme.

La linea del rigore può essere modificata (e va assolutamente modificata), ma facendo ciascuno la propria parte, non rovesciando il tavolo, battendo i piedi come bambini capricciosi, o giocando al tira e molla. Appartenere all'Europa significa mostrare responsabilità in ciò che si fa, confermare con i fatti che si intende fare sul serio, cambiare le cose.
Solo in tre anni, dal 2010 al 2013, la Grecia ha beneficiato di un flusso netto di fondi positivo pari a circa 91 miliardi di euro. Nello stesso tempo, i governi che si sono alternati ad Atene non hanno fatto nulla per tagliare l'improduttiva spesa statale di un paese che ha la percentuale di spesa per dipendenti pubblici più alta di qualunque altro stato d'Europa. Non è servito a eliminare o ridurre le pensioni baby in una nazione che ha il rapporto pil-spesa per le pensioni più alto d'Europa. Non sono serviti a tagliare privilegi a politici, esercito, armatori, né ad adottare una seria riforma fiscale, pur presentando la più alta evasione fiscale d'Europa e il più alto tasso di corruzione pubblica fra tutti i paesi europei.

Vi era la convinzione diffusa che quei soldi fossero «dovuti» dall'Europa per far continuare ai greci lo stesso tran tran di prima, la stessa «pacchia» assistenzialista di prima, facendo pagare il conto ai contribuenti europei, che oggi sono esposti verso la Grecia per 300 miliardi di euro. Dire che si vuole «un'altra Europa» - principio condivisibile in un'Unione che è soprattutto monetaria ma non sufficientemente politica, decisionale, delle regole finanziarie e tributarie - non si traduce in un sistema dove una parte dei paesi europei «mantiene» l'altra parte. Non può essere inteso come obbligo per taluni di andare in pensione più tardi (in Italia a 65-67 anni, ma così in tutta l'Europa del Nord), e in altri a 52-55 anni, come in Grecia. Non significa che a una certa latitudine si debbono pagare le tasse, e ad altre latitudini è un optional, come sa benissimo chi chiede una ricevuta fiscale in Grecia. Questo non è possibile, oltre che ingiusto.

Volere «un'altra Europa» significa chiedere insieme una maggiore integrazione fiscale, non pretendere di essere l'eccezione, di ottenere l'esenzione, insomma di continuare a fare come prima. Puntare ad «un'Europa più forte» e «più unita» vuol dire che quando si richiede un salvataggio da parte degli altri paesi membri (e la Grecia è la terza volta che lo richiede negli ultimi cinque anni) si concorda con gli altri le politiche economiche che servono, non si decide unilateralmente pretendendo comunque i soldi dei contribuenti degli altri paesi. Vedremo oggi se la Grecia dovrà tornare disastrosamente alla dracma, con le banche chiuse e senza soldi, senza nulla in cassa per pagare pensioni e stipendi pubblici, con l'impossibilità di ricorrere a prestiti internazionali se non a tassi mostruosi visto l'insolvenza dimostrata, con l'isolamento internazionale di un paese che vuole andare per conto proprio senza averne le forze e i mezzi.

Il ricatto intentato dal populismo irresponsabile e nazionalista del duo Tsipras-Varoufakis non ha sortito effetto sulla comunità internazionale e sul resto dell'eurogruppo. Certi che l'Unione avrebbe ceduto intimorita da una Grexit, da una fuoriuscita della Grecia dell'euro, e che i mercati avrebbero spinto ad un accordo alle condizioni di Atene pur di non andare incontro alla tempesta finanziaria, hanno portato un paese stremato al tavolo da gioco puntando tutto su una partita di poker che a questo punto assomiglia più ad una roulette russa, con il colpo in canna pronto a sparare. L'ultimo tentativo di Tsipras di rimediare a sei mesi di provocazioni e ostentazioni di superbia, il piano d'emergenza presentato ieri, costituisce l'emblema del fallimento totale su tutta la linea di Syriza, e dei populismi anti-europei, di cui in Italia abbiamo dei cinici campioni nei vari Salvini della Lega Nord, Grillo dei CinqueStelle, i Vendola e i Fassina della sinistra parolaia e fallimentare. Il piano di riforme richiesto dall'Europa alla vigilia del referendum, e rifiutato sprezzantemente da Tsipras e dal compare Varoufakis, era pari a 8 miliardi di euro di tagli e risparmi. Ora alla vigilia dell'incontro di oggi, lo stesso Tsipras è pronto a tagliare per 12 miliardi, promette riforme, eliminazione delle baby pensioni, riduzione della spesa pubblica, rioganizzazione della macchina statale, sprecona e inconcludente.

Le ultime due funamboliche settimane di capriole e capitomboli da parte di Syriza hanno distrutto il 4% del prodotto interno lordo greco e peggiorato il deficit pubblico del 2%. L'indizione del referendum ha bloccato l'economia greca e portato alla chiusura delle banche. La crescita prevista della Grecia all'inizio dell'anno pari al 2,9% è precipitata. E ancora non sappiamo se tutto questo basterà, o oggi l'uscita di Atene dall'euro segnerà la bancarotta della Grecia, e il fuggi fuggi generale dal Paese di chi può, oltre ai capitali che se ne sono già andati. Un quadro drammatico che deve restare di monito e di messa in guardia di fronte a quanti - anche in Italia - invasati di ideologia (all'estrema sinistra, ma anche a destra) o di demagogia d'accatto (Salvini ne è il capofila, e dietro vengono chiassosi i grillini) gridano all'uscita dall'euro, al ritorno al nazionalismo, alla lira che ci farebbe finire immediatamente nel frullatore della speculazione, all'Italietta di provincia che sarebbe solo succube e gregaria della Grande Germania della Merkel. Quanto sta accadendo in queste ore ad Atene è la raffigurazione più eloquente di ciò che potrebbe accadere all'Italia se i populisti alla Tsipras avessero il sopravvento. Speriamo non debba mai accadere.

p.giovanetti@ladige.it
Twitter: @direttoreladige

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