Le foreste, la sostenibilità e il Trentino

di Eliseo Antonini

Dalle crisi delle nostre società ed economie possono nascere nuove opportunità. Circa trecento anni fa da una crisi europea è nata invece una parola che è poi diventata un concetto trasversale, che si presta a molte declinazioni e che per questo sfugge ad una definizione condivisa. La crisi profonda che investì tutta l’Europa fu la mancanza di legname.

Alla fine della tremenda guerra dei Trent’anni (1648) i boschi tedeschi e in generale quelli europei erano alla rovina. Furono sfruttati a dismisura: per puntellare le miniere, per fondere metalli, per le costruzioni (ponti, case) e anche per usi energetici domestici; produzione di legna da ardere per riscaldarsi e per la cottura dei cibi.

L’inventore della parola fu il sovrintendente alle attività minerarie (argento) della Sassonia (Land dell’ex-Germania dell’Est), figlio di un’antica e potente famiglia nobile: Hans Carl von Carlowitz (1645-1714).
L’anno prima di morire H. C. von Carlowitz presentò alla fiera pasquale di Lipsia il suo libro, frutto del lavoro di anni, dal titolo: «Sylvicoltura Oeconomica». In libro fu scritto sia per gli studenti di scienze forestali sia per i forestali in azione.

«Con il bosco bisogna avere un atteggiamento - pfleglich – curativo». Il legno per la nostra società è così importante che bisogna trovare un giusto equilibrio tra taglio e accrescimento, è necessaria una gestione che deve essere «continuerlich», «immerwährend» e «perpetuirlich».

Il termine «pfleglich» al vero appariva a von Carlowitz non ancora adeguato per evidenziare la continuità nel tempo e la durevolezza dell’uso delle risorse naturali e quindi della suddivisione dei ricavi e dei risparmi.

Nella bella edizione (oekom Verlag di Monaco, 2013) fatta uscire in occasione dei 300 anni della prima edizione, il nostro moderno concetto di «sostenibilità» è scritto solo una volta: «nachhaltende Nutzung», l’uso sostenibile, in questo caso, delle risorse forestali. L’aggettivo «nachhaltig» è formato da due elementi: «Nach» sta per «dopo», e «halten» sta per «mantenere, tenere». Ovvero: gestione - delle cose, delle risorse - che possa garantirne anche un loro uso successivo. Per l’appunto, sostenibile («Nachhaltig» in tedesco).

Il padre, sovrintendente forestale del Land con sede a Freiberg, era molto «sensibile» alle pressanti richieste dei proprietari dei boschi e dei commercianti i quali volevano tagliare e vendere sempre più legname profittando, data la scarsa offerta sul mercato, del suo alto prezzo e realizzare così rapidi e consistenti profitti.

Hans Carl sviluppò invece una certa sensibilità per la sua terra e per i suoi «sudditi» e scrisse: «I floridi commerci devono servire al bene comune. La nostra popolazione, in gran parte povera e “sottoposta”, ha il diritto ad un cibo adeguato e a un giusto sostentamento. Ma lo stesso diritto vale anche per la “posterità”».

Fin da giovane Hans Carl, grazie alle attività del padre, ebbe contatti ed informazioni sullo stato delle foreste e del commercio del legname in Germania, ma non solo, e scrisse: «In pochi anni in Europa è stato tagliato molto più legno di quanto non fosse cresciuto nei precedenti “seculis”».

Nel 1711 il giovane Johann Gottfried Silbermann aprì nella Schlossplatz di Freiberg la propria officina in cui lavorava il legno di abete rosso, abete bianco e cimbro per costruire i suoi famosi strumenti musicali, tra cui gli organi. Quasi ogni giorno H. C. von Carlowitz ci passava accanto per poi svoltare in una viuzza (Kirchgasse) stretta e accidentata che in cui si trova tutt’oggi la sede dell’ufficio minerario della Sassonia, la più importante, a livello europeo, area di scavo per l’estrazione dell’argento che dava lavoro a circa 10.000 maestranze e che richiedeva consistenti volumi di legname per puntellare i tunnel sotterranei e per la fusione del metallo prezioso.

Nel 1667 von Carlowitz fece un viaggio, forse decisivo, per completare il suo libro. Si recò a Parigi e girerà quasi tutte le province francesi. A quel tempo al servizio di Re Luigi XIV c’era J. B. Colbert, il potente ministro che risanò il bilancio francese e che personalmente intraprese, supportato da un’ordinanza del Re, la grande riforma delle foreste (1669). Essa si basava su un meticoloso inventario dell’esistente e una completa riorganizzazione della catena di comando. Elementi centrali della riforma furono: un controllo del taglio dei boschi – sottoposto a regole più rigide - e misure per la riforestazione e per la conservazione delle foreste d’altofusto di pregio.

H. C. von Carlowitz criticò il profitto veloce, la monetizzazione «spinta» di beni durevoli (bosco) che era l’atteggiamento dominante del suo tempo.
«Un campo di grano produce un reddito annuo. Per ottenere il legno dal bosco bisogna invece aspettare spesso molti decenni. Io ritengo tuttavia una via sbagliata la tendenza attuale di trasformare il bosco in campi di grano». Prosegue: «L’uomo “qualunque” non risparmierebbe al taglio una pianta giovane perché - egli pensa - se aspettasse la sua maturazione non potrà godere dei frutti derivanti della vendita del legname». Ma quando poi i boschi saranno distrutti, anche i profitti saranno annullati e i danni al nostro ambiente saranno irreparabili».

Il bosco è come un capitale che matura un interesse periodico quantificabile nella somma degli anelli di accrescimento annuali. Gestire in modo sostenibile un bosco significa fare una selvicoltura attiva, prelevando gli interessi, ma senza intaccare il capitale il quale deve essere sapientemente ringiovanito per continuare a maturare interessi (legname) che devono soddisfare i bisogni delle popolazioni presenti e di quelle future. Ma questo è solo una parte del suo valore.
Nel suo libro Carlowitz fa poi un altro ragionamento moderno: la riduzione del massiccio consumo di legna si può ottenere anche attraverso l’aumento dell’efficienza energetica delle case (isolamento); segno questo che si usava molto legno per il riscaldamento. Egli suggerisce anche l’uso di più moderni forni per la cottura dei cibi e per la fusione dei metalli preziosi come l’argento. Suggerisce anche l’uso di surrogati al legno per usi energetici come la torba.

In Trentino ci sono circa 325.000 ettari di boschi di cui circa 58.000 sono boschi di protezione e il resto ha uno scopo produttivo. Il «capitale» bosco in Trentino è di circa 50 milioni di metri cubi il quale annualmente si accresce di circa 1 milione di metri cubi.

Nel 1985 si prelevavano (tagli) circa 370.000 metri cubi di legname, nel 2007 il prelievo è stato di 530.000 metri cubi. Al 2020 il prelievo è previsto rimanere pressoché invariato sul livello del 2007. Il bosco però non produce solo legname da opera (fustaia) e legna da ardere (ceduo). Il bosco, pubblico o privato che sia, mette a disposizione anche servizi e utilità: servizi turistico-ricreativi, regimazione delle acque e protezione del suolo, è una componente essenziale del paesaggio, offre rifugio e sostentamento alla fauna, accumulo di carbonio, produzione di frutti secondari (funghi e bacche). Sono questa alcune utilità e servizi che il «mercato» non remunera direttamente, ma che hanno un valore per la collettività. Sia quella che ci vive tutto l’anno, sia quella che vi trascorre anche un paio di giorni all’anno.

È stato stimato (G. Gios, 2010) che in provincia di Trento il valore della produzione legnosa complessiva sia di circa 94,5 €/ha, quella della produzione legnosa utilizzata sia di circa 46 €/ha e il solo servizio turistico-ricreativo valga circa 48 €/ha.

Un servizio contemporaneo che C. von Carlowitz non poteva certo immaginare è la funzione di accumulo di carbonio. In Trentino sono accumulati circa 72 milioni di tonnellate di carbonio, circa 210 tonnellate per ettaro, piante e suolo. Le emissioni legate alle attività umane (2010) della provincia di Trento sono state calcolate (Piano energetico-ambientale provinciale 2013-2020) in 3,4 milioni di tonnellate di anidride carbonica di cui la metà (1,75 milioni) sono stoccate ogni anno nei boschi trentini. Una consistente quindi capacità di compensazione.

In «Anna Karenina», un grande romanzo scritto il secolo successivo di quello in cui è vissuto von Carlowitz, parla spesso di bosco e di piante, di come si misurano e quanto possano valere nel commercio. Lo scrittore russo mette in scena nel romanzo il rischio che corre chi non conosce la propria terra o il proprio bosco: «svenderla».

[…] «Ti illudi di intenderti di selvicoltura, il che non è cosa facile. Hai contato quanti alberi ci sono nel tuo bosco? Come contare gli alberi? E non c’è un mercante che comperi senza contare, purché non glielo diano gratis come fai tu. Conosco il tuo bosco. Ogni anno ci vado a caccia e vale cinquecento rubli in denaro sonante mentre lui te ne ha dati duecento a rate. Significa che tu gli hai regalato 300 rubli». Anna Karenina – L. N. Tolstoj.

Alcuni beni privati svolgono funzioni e servigi pubblici, a beneficio di tutti. Il bosco è un bellissimo esempio e una ricca metafora. Il mercato e la sua mano invisibile però hanno bisogno delle genti e della buona amministrazione per declinare la mutevole «Nachhaltigkeit».

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