Le Iene e il traffico d’armi Scontro con la Procura

«Le accuse della procura di Sarajevo sono molto gravi: se c’è una cosa che ci preme è essere credibili. Non vediamo l’ora che vengano qui a dirci che cosa abbiamo inventato o che le autorità italiane ci chiedano conto delle accuse che ci vengono mosse».

Davide Parenti, papà delle Iene, respinge al mittente gli addebiti degli inquirenti bosniaci, convinti che il servizio sul traffico di armi trasmesso il 2 ottobre dal programma di Italia 1 sia una «bufala» e che due persone intervistate si siano finte trafficanti di armi e siano state pagate dal giornalista Luigi Pelazza.

«Quello che so con certezza - spiega Parenti - è che abbiamo realizzato un’inchiesta straordinaria, che documenta come le armi rimaste in Bosnia dagli anni ‘90 siano quelle che hanno sparato a Charlie Hebdo, al Bataclan e in altri luoghi delle stragi collegate all’Isis in Europa.

Pelazza è andato lì per cercare di capire chi vende queste armi, come si comprano e ha scoperti che è facile farlo. Dire dunque che abbiamo realizzato un fake è una balla cosmica».

«Se il servizio andato in onda è di venti minuti - dice ancora il curatore delle Iene - abbiamo però ore e ore di girato e faremo in modo di renderlo pubblico, mettendolo sul nostro sito entro domattina. Non abbiamo nulla da nascondere, anzi siamo convinti di avere tante informazioni interessanti.

Abbiamo trovato diverse persone che vendono armi in Bosnia, a diversi livelli, dal fucile da cecchino alla bomba a mano, ai kalashnikov e ai mitra con i silenziatori. Un testimone ci ha raccontato come fanno a portare i kalashnikov in Belgio e come tornano indietro con la cocaina, permutando il compenso in droga che riportano indietro imbottendo auto che vengono caricate su carri attrezzi».

Quanto ai soldi che sarebbero stati pagati, secondo

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