Sinistra italiana: a Roma possibile sostegno al candidato M5S

«Col Pd di Renzi siamo alternativi. Ma non perché ci sta antipatico Renzi, con loro c’è un confronto ma c’è anche una competizione. E non precludo neanche la possibilità di sostenere un candidato del Movimento Cinque stelle, a Roma, se sul piano programmatico è più compatibile con la nostra idea di sviluppo di una città. Vogliamo stare sui programmi».

Lo ha dichiarato Stefano Fassina, tra i fondatori di Sinistra italiana, ospite oggi ad Agorà su Raitre, a due giorni dalla grande kermesse che ha tenuto a battesimo la nuova forza che contesta il liberismo del Pd e propone invece politiche di stampo socialdemocratico, già bollata dal premier Renzi e da altri esponenti della segreteria Pd come «vecchia», «salottiera», «delirio onirico».

Fassina, a proposito di una sua candidatura a sinistra come sindaco di Roma ha aggiunto: «Sceglieremo insieme quale è la figura migliore».

Poi, a proposito del nuovo centrodestra che avanza a trazione leghista, ha aggiunto: «Salvini e Berlusconi sono i nostri principali avversari e ieri a Bologna dovrebbe essersi capito perché. Noi vogliamo portare al voto un pezzo largo di popolo democratico che in questo anno e mezzo è stato abbandonato dal Pd. Il nostro percorso a metà gennaio avrà una Assemblea nazionale che aprirà una fase costituente sui territori. Un’assemblea che sarà inclusiva, unitaria, con dentro tutti coloro che condividono la necessità di riportare in Italia una rappresentanza adeguata del lavoro, dello sviluppo sostenibile, dei diritti, della giustizia sociale, della scuola pubblica. Un percorso partecipato che porterà poi a un partito», sottolinea.

A proposito di una sua candidatura al Campidoglio, Fassina aggiunge: «A Roma ci sono dei problemi molto profondi da affrontare: la drammatica conclusione della giunta Marino, per responsabilità principale del Pd che non ha consentito neanche una discussione in consiglio comunale, lascia aperte questioni strategiche. Roma deve ritrovare una vocazione economica: non può più andare avanti coi motori della spesa pubblica o dell’edilizia espansiva. Quindi, insieme a tanti altri stiamo lavorando affinché possa esserci un programma adeguato e a tempo debito parleremo anche delle candidature. Sto pensando di dare una mano a costruire questo percorso, poi sceglieremo insieme quale è la figura migliore che può interpretare il progetto di svolta a Roma. Non si tratta di cominciare dall’alto», precisa l’ex viceministro all’economia del governo Letta.


Sabato scorso la presentazione del nuovo nome, Sinistra italiana, in bianco su sfondo arancione. E un acronimo «Si», che vuol essere anche manifesto programmatico. Ci sono Berlinguer e Ingrao. C’è il premio Nobel Joseph Stiglitz a far da consulente economico. Ci sono «Bella ciao» e il saluto «compagni».
Ma c’è poco «rosso», a far da sfondo all’evento che ha segnato la nascita di un nuovo gruppo di deputati (25 di Sel più sei ex Pd che assicurano l’arrivo di altri transfughi) e promette di essere passaggio cruciale verso la nascita del nuovo partito della sinistra.

Un’operazione che a Matteo Renzi sembra un «delirio onirico». Perché, spiega Lorenzo Guerini, «fuori dal Pd non c’è spazio per una sinistra di governo». Ma è proprio questo l’assioma che Sinistra italiana vuole smontare. Per «bloccare» il progetto di Renzi di «cancellare la sinistra». E provare a portare «fuori» anche chi, come Bersani, nel Pd resta piantato.

«Abbiamo il dovere di provarci», afferma Nichi Vendola in un messaggio inviato per iscritto perché lo tengono lontano gravi problemi familiari.

Ma non c’è Pippo Civati, che non aderisce al gruppo e si prepara a costituire una sua componente autonoma «scippando» a Sinistra italiana uno dei 31, l’ex grillino Adriano Zaccagnini.

Civati peraltro non contesta i contenuti ma il metodo: avrebbe preferito un processo dal basso, come avviene per il suo movimento «Possibile», tuttavia assicura che collaborerà con il nuovo gruppo i quali, peraltro, auspicano e prevedono che le strade, alla fine, si incroceranno.

Con Sinistra italiana c’è il senatore ex M5S Francesco Campanella, che però rinvia a data da definire la formazione del gruppo anche al Senato.
i sono Cesare Salvi, Fabio Mussi, Luca Casarini, Pietro Folena e Valentino Parlato. Ci sono tanti dirigenti sindacali. Ma non c’è Sergio Landini, che pure era stato invitato. E allora, osserva Sergio Cofferati, serviranno «generosità e pazienza», per far sì che a gennaio parta quel processo costituente cui insieme si sta provando a lavorare.

«Una forza larga, patriottica, popolare. Senza leaderismi. Non una sinistra di testimonianza, che farebbe il gioco della nazione», sintetizza l’ex bersaniano D’Attorre.

Ci sono praterie a sinistra, assicurano. «Chiamateci pure Cosa rossa - dichiara il capogruppo in pectore Arturo Scotto - ma allora chiamate il Pd Cosa bianca. E il M5S Cosa grigia. E Cosa nera la creatura di Berlusconi e Salvini».

Ma nei discorsi c’è, per contrapposizione, soprattutto Renzi e la sinistra che non lascia il Pd. Alfredo D’Attorre denuncia: «Qui ci sono tanti iscritti al Pd e sarà sempre di più così, per la radicale deriva renziana. Capisco il tormento di Bersani ma proseguire nel Pd è impossibile. Ricostruiamo - propone - il centrosinistra».

«Abbiamo una proposta di governo alternativa al liberismo da Happy days del segretario del Pd», rivendica Stefano Fassina.
Poi a Bersani dice: «Il gioco della destra lo fa chi fa la destra nel Pd».

Parole che provocano la reazione stizzita dei bersaniani: «È ingeneroso e ingiusto. Sarebbe inutile e dannosa una guerra a sinistra», dice Federico Fornaro.
«Non bisogna vedere l’avversario vicino a te: dovremo incontrarci se vogliamo vincere domani le amministrative e dopodomani le politiche», avverte Gianni Cuperlo.

Ma alle amministrative la sinistra, annuncia Fassina, andrà da sola in molte città: Torino (con Giorgio Airaudo), Roma (ma senza Ignazio Marino), Napoli. A Milano, per ora si confermano le primarie, poi chissà.

Renzi replica in via indiretta pubblicando sul quotidiano di destra il Foglio il discorso pronunciato martedì scorso ai gruppi Pd: «È un’operazione intrisa di ideologismo, non vinceranno mai. Anni di Pci insegnano che il velleitarismo è il nemico peggiore di chi ama la politica». «Comunque Happy days era bellissimo. E divertente. Come deve essere la sinistra», dice con una battuta Matteo Orfini.

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