Croazia, la rotta dei profughi a rischio mine Una fuga che può toccare anche l'Italia

Il contestato «muro ungherese», la barriera di filo spinato anti-migranti, sta deviando i profughi su un sentiero pericoloso della «rotta balcanica»: i campi minati ancora presenti in Croazia dopo il conflitto dei primi anni Novanta.
Il rischio viene segnalato da un’autorevole Ong, media e attivisti che aiutano i profughi siriani a raggiungere l’Europa.

Le mine della guerra di indipendenza croata del 1991-1995 sono «circa 51.000», stima «Centro di azione» attivo in Croazia per far fronte all’esplosiva eredità di quel conflitto. Il governo di Zagabria sostiene che i campi minati sono chiaramente indicati da grandi cartelli, ma il pericolo che i migranti non li vedano o li sfidino pur di arrivare in Slovenia e poi in Austria (la porta dell’agognata Germania) è reale: il Centro anti-mine ha infatti esortato i migranti a seguire le strade evitando la boscaglia.

Del resto la via è aperta: il premier croato Zoran Milanovic ha detto che il suo paese lascerà passare i migranti e i profughi che nelle ultime ore hanno cominciato ad affluire in Croazia per aggirare il muro anti immigrati ungherese.

Il vicepremier croato Ranko Ostojic sottolinea che le autorità si aspettano l’arrivo di circa 4 mila migranti nei prossimi giorni.

«Si profila il rischio concreto che migliaia di profughi possano riversarsi in Italia anche attraverso i valichi del Friuli Venezia-Giulia», scrive in una nota il deputato Gian Luigi Gigli, del gruppo parlamentare Per l’Italia-Centro Democratico. Per Gigli, è «urgente approntare su basi nuove l’accoglienza, superando i limiti che oggi si manifestano e che portano i profughi ad ammassarsi nelle stazioni e nei giardini pubblici, in condizioni poco rispettose della loro dignità. Auspichiamo che venga predisposta l’eventuale accoglienza di un numero di profughi potenzialmente rilevante in una piccola Regione, attrezzando al più presto qualcuna delle numerose caserme dismesse. Sarebbe l’unico modo per ospitare un rilevante numero di profughi, in condizioni rispettose della loro dignità, e di evitare appalti con alcune cooperative che dell’ospitalità hanno fatto un lucroso business».

A mettere in guardia i profughi dalle mine è anche Medici senza frontiere (Msf), l’organizzazione internazionale privata che porta soccorso sanitario nelle zone di crisi. «C’è bisogno di rotte sicure e legali adesso: i profughi alla ricerca di vie per aggirare le nuove restrizioni frontaliere potrebbero inavvertitamente incappare in campi minati dei Balcani», si afferma in un suo tweet che fa implicito riferimento alla barriera anti-migranti creata dall’Ungheria poco ad est del territorio croato reso pericoloso dalle mine.

Ma non tutti i profughi accedono ad internet e hanno modo di scavare nei milioni di tweet. Per questo attivisti stanno diffondendo pratiche cartine. Una mappa riporta macchie rosse lungo tutto il tratto del fiume Drava a nord di Osijek (dal confine serbo a quello ungherese) ma anche per una quindicina di chilometri a sud-est di Vinkovci e in altre cinque aree del paese, meno estese.

La cartina viene accompagnata ad un’altra che avverte che la rotta attraverso Macedonia e Serbia è ormai interrotta («closed» con tre punti esclamativi) dalla barriera di filo spinato ungherese.

La freccia che indica ai migranti dove andare fa quindi una deviazione verso ovest tracciando l’ «open route», appunto attraverso la Croazia, dove però ci sono i campi minati lungo la Drava: l’eredità di un passato recente in cui il territorio europeo era solcato da confini difesi con le armi. E con le mine piazzate durante il conflitto tra le forze leali al governo della Croazia appena resasi indipendente e l’Armata Popolare Jugoslava, controllata da forze serbe.

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