A Luserna il nonno "ultramaratoneta"

Le nuvole corrono, Luserna, il villaggio cimbro dove finisce la strada ed inizia la poesia, è come un bambina che dorme tranquilla mentre la luce soffusa dei lampioni illumina il suo viso. Bruno Nicolussi Motze abita quassù. Sessanta anni, sguardo fiero, un frontalino adorna quel volto scavato come quello dei Masai del Kenya, anche loro maratoneti degli altipiani. Bruno corre tra le braccia del vento, sente il respiro degli alberi, l’odore dell’asfalto bagnato, il graffio della roccia, le ginocchia che toccano gli aghi dei pini mughi, mentre sul «campigolo» si ode la buonanotte del cuculo.
 
«Sembra incredibile, non avrei mai potuto immaginare di correre in un solo anno (2017) tutte queste gare: 46 tutte sopra i fatidici 42 km, 23 maratone su strada, 8 ultramaratone, 15 fra ultratrail e maratone di montagna», racconta.  Un chilometraggio totale di sole gare pari a 2.216 Km (più gli allenamenti) per un dislivello positivo di 50.500 metri. Bruno corre per passione, per essere se stesso, per superare quella linea sottile che separa la tristezza e la monotonia dalla bellezza interiore. «Ho fatto gare in circuito di 12 ore consecutive, tra gli ultratrail anche un 100 km con 5.000 metri di dislivello positivo e poi, per la quinta volta, la “100 km del Passatore” dove ho ricevuto il famoso “piatto per 5”».
 
Il runner cimbro è affiliato al Gs Valsugana ed è diventato in pochi anni un «mito»: fisico asciutto, ossatura da rocciatore, sguardo fiero come quello di un’aquila. L’uomo, la corsa, la natura, una simbiosi perfetta. Il suo record è di 26 maratone in un anno, addirittura 10 maratone in 10 giorni: al lago d’Orta su un circuito da ripetere quattro volte. «C’erano atleti di tutto il mondo, tra questi i vincitori della Spartathlon e della “Mille Miglia” disputatasi in Grecia. Mi sono piazzato diciottesimo, sono particolarmente soddisfatto. Non ho mai avuto problemi fisici e di recupero, ho visto che posso tranquillamente correre una maratona ultra alla settimana».
Nasconde tra le sopracciglia folte la timidezza del ragazzo di montagna, dell’ala destra che nel Lusérn faceva impazzire i tifosi. Mette insieme le pagine della vita, abbraccia la mamma Lauretta che ha gli occhi azzurri come il lago di Lavarone. È con lei che Bruno trova le filosofie del tempo e i sussurri dell’anima.
 
L’atleta cimbro è anche nonno, ha due figlie che lo assecondano nell’attività di tecnico. La felicità abita quassù, nella piccola cucina di Lauretta, dove il guerriero cimbro mangia cose genuine. «Sono verdure del mio orto», sottolinea ridendo mentre guarda la mamma. Intanto lo aspettano altre sfide che vanno oltre ogni limite. Ad esempio a giugno la «Lavaredo ultratrial», 120 chilometri tra le cime dolomitiche, circa 25-30 ore di gara. «È la sfida con me stesso, con i miei limiti, quando graffio l’aria mi sento felice, mi sembra di volare. Correre vuol dire calpestare i patemi ed  i problemi esistenziali, è gustare l’armonia del tempo, la bellezza, l’emozione di un’azione dove tu solo sei il protagonista e l’attore principale».
 

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