Folla, tanti ricordi e musica per l'addio a Mario Martinelli

Voleva riposare nel piccolo cimitero di Obra. Nella terra di Vallarsa, fianco a fianco alla nonna. E lì ieri pomeriggio lo scrittore Mario Martinelli è stato accompagnato dall’abbraccio di chi ha partecipato all’orazione funebre. Un saluto, una preghiera, e soprattutto una grande dimostrazione d’affetto per lo scrittore “montanino” che si arrampicava solo «fin dove arrivano le capre», scomparso sabato mattina per colpa della malattia che aveva purtroppo costellato la sua vita.

Si fa presto a riempire la chiesetta di Obra. Ieri i pochi banchi, all’interno, erano occupati molto prima delle 16, quando la cerimonia è iniziata. Mario era al centro, in una bara di legno grezzo, la cui severità era addolcita da un cuscino di fiori colorati. Fiori di campo, con tanto verde. Sembrava un prato, gli sarebbe piaciuto.
A salutarlo è stata una cerimonia laica, all’ombra di una croce. Questo ha voluto lo scrittore di Vallarsa, che d’altronde non ha mai avuto confini ideologici o religiosi a farsi limitare il pensiero o la fantasia. Ad ascoltare la cerimonia, si diceva, sono arrivati in tanti. Perché tanti erano i mondi che Martinelli aveva saputo toccare. C’erano i famigliari e gli amici di una vita, che lo conoscevano prima del ritiro vallarsero e lo avevano visto trasformarsi nella persona che voleva essere. C’era il paese, che evidentemente si era sentito raccontato con onestà, dai suoi libri. E c’erano le tantissime persone con cui Martinelli ha avuto contatti, negli ultimi vent’anni, in cui ha cercato soprattutto di divulgare un’idea di montagna che fosse ambiente vissuto. Con rispetto per l’ecosistema, ma vissuto.

La maggior parte delle persone salite in Vallarsa è stata costretta a seguire la cerimonia fuori. Dentro l’obiettivo era quello di ricordare Mario. L’ha fatto un’orazione funebre che non si è limitata al percorso artistico. È stata ripercorsa un po’ tutta la sua vicenda umana. Prima di tutto il rapporto con la montagna, usata nell’infanzia come luogo della scoperta e nell’età adulta come contesto in cui trovare una serenità che altrove non c’era. E poi la sua voglia di cercare, costantemente, risposte a domande esistenziali che non aveva mai smesso di farsi. E, ancora, l’aspetto più delicato da toccare, ma che certo in qualche modo ne ha segnato l’esistenza: la malattia. Una malattia che si è fatta viva nel 1998, e che in più occasioni l’ha portato a temere che fosse finita. A tenerlo in vita, oltre alla volontà di fare e all’affetto di chi gli era vicino, sono stati due trapianti di fegato, l’ultimo nel 2013. E in quell’occasione erano stati in tantissimi a stargli vicino, in un percorso che era stato doloroso, faticoso, ma che lo aveva restituito alla sua esistenza e alle sue passioni. E infine certo non era possibile raccontare Mario senza il suo rapporto con la letteratura e con i libri, quelli scritti, ma anche quelli letti. Tanti e con amore.

Un ricordo commovente, addolcito solo in parte dalla musica, che ha inondato la chiesetta. Infine, la preghiera.

Poi il viaggio, l’ultimo, verso il piccolo camposanto di Obra. Sono tutti usciti dalla chiesetta e si sono messi in fila. Una processione lunga, che ha dato la misura più di ogni cosa, di quanti abbiamo scelto di salire a Vallarsa per salutare Martinelli. Un lungo serpentone di gente. E solo i primi, probabilmente, hanno sentito le parole della compagna Fiorenza Aste. Che ha soprattutto ringraziato. Chi era lì ieri e i tanti che ci sono stati nelle ultime settimane e l’hanno accompagnato fino a lì. Fino a quel camposanto, dove riposerà assieme alla nonna.

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