Il prof diventa diacono «Ora vi racconto perché»

Isera, oggi l'irdinazione da parte dell'arcivescovo di Trento Lauro Tisi. La vocazione e la scelta di vita

Paolo Andreolli, attore, scrittore e regista della «Compagnia del Paes», oggi è stato ordinato diacono. Dopo aver superato le tappe del lettorato e accolitato, ha vestito la dalmatica nella chiesa di San Vincenzo parata a festa per onorare il suo patrono.

Accanto al parroco don Diego Mengarda c'era ovviamente anche l'arcivescovo di Trento Lauro Tisi.

È il primo diacono di Isera e della Destra Adige, un avvenimento per tutto il territorio lagarino, quindi. È dal 2010 che Paolo ha preso la residenza con la moglie Rita a Lenzima: è nato nel giugno del 1953 a Livorno, dove ha studiato e insegnato per tanti anni, ma la famiglia paterna è trentina e a Lenzima spesso la coppia soggiornava nella casa paterna.

E qui Paolo (nel fotoservizio di Gianni Cavagna) ha ancora il ruolo di presidente della Proloco.

Queste le sue risposte alle domande della nostra Nicoletta Redolfi:

Come mai questa scelta?

«Viene da lontano, dal tempo trascorso in ospedale quando ero piccino e lì mi è nata la voglia di aiutare i bambini che vedevo messi peggio di me. Dopo il liceo è stato naturale per me iscrivermi a teologia nell'intenzione di proseguire verso il presbiterato, ma l'incontro casuale con Rita, prima mia grande amica e poi fidanzata, mi ha fatto desistere dal proposito. Dopo il matrimonio lo stesso vescovo di Livorno mi propose l'alternativa del ruolo diaconale, ma l'ambiente di là non mi convinceva molto e poi già pensavo che prima o poi sarei venuto in Trentino e dato che il diacono deve mantenere stabilità in diocesi, ho eluso la chiamata».

E quindi?

«Poi mi sono ributtato in mille attività sociali e religiose, dalla commissione per la cultura al segretariato della commissione catechisti, alla formazione dei lettori e dei ministranti, sono stato responsabile liturgico e volontario nella croce rossa. Mentre nel lavoro, dopo 5 anni come docente di religione sono passato all'insegnamento di Lettere, attività che ancora svolgo all'istituto Fontana. Infine, il trasferimento a Lenzima fu una nuova occasione per ripensare la mia vocazione».

Ma che senso ha fare il diacono nel contesto odierno, che pare sempre più lontano dalla chiesa e dalla spiritualità?

«Il diacono è un uomo sulla soglia tra chiesa e mondo. È in mezzo alla gente, nella vita quotidiana, nel lavoro, è testimone del vivere cristiano concreto, un profeta, un esempio».

Essere cristiani nella società globalizzata e relativista di oggi è possibile?

«Sì, se ci amiamo gli uni gli altri, se viviamo nella carità».

Di che cosa si occuperà concretamente? Dove opererà?

«Ancora non lo so, il mandato lo dà il vescovo con lettera ad hoc anche se io sogno un'attività prevalente con i malati e i sofferenti».

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