L’intervista / Sul ghiaccio

L’avventura di Chiara Viganò: «L’equilibrio della vita si impara nell’Artico»

Laurea in scienze politiche e relazioni internazionali, personal trainer e ora guida con i cani da slitta: alle isole Svalbard per sperimentare l’estremo

di Marica Viganò

TRENTO. Giorni dominati dall'oscurità, il termometro che segna -20, il vento gelido. Non si vive alle isole Svalbard per caso: servono forza ed equilibrio per superare la barriera fisica del freddo e quella mentale della mancanza di luce.

«Ero qui con un'amica per una vacanza e ho fatto il mio primo tour con i cani da slitta. In quel momento ho sentito un clic dentro di me. Ho avvertito una connessione con la natura e con i suoi ritmi, realizzando che erano quelle le emozioni per cui mi ero trasferita in Norvegia sei anni e mezzo prima, ma più potenti di quelle provate fino a quel momento». Chiara Viganò (nessun grado di parentela con chi scrive) ha lasciato Trento e un lavoro sicuro per il nord selvaggio.

Da quattro mesi vive su un'isola nell'Oceano Artico, a metà strada tra la Norvegia e il Polo Nord. Per lavoro e per passione accompagna i turisti su una slitta trainata dai cani. Inglese fluente, laurea in Scienze politiche, relazioni internazionali e diritti umani, in Norvegia si è dedicata al fitness, diventando personal trainer e master trainer. Poi la svolta.

«Uno dei motivi principali che mi ha fatto decidere di trasferirmi qui alle Svalbard è anche il mio desiderio di andare oltre i limiti, di vivere all'estremo, di uscire ancor più dalla comfort zone e sperimentare cosa possano mente e corpo imparare a sopportare. L'Artico ti tempra non solo per le condizioni atmosferiche estreme ma anche perché ognuno impara innanzitutto a salvare se stesso prima di aiutare gli altri. Perché se ti si gelano le mani a -25 gradi difficilmente cederai i tuoi guanti a qualcun altro. Allo stesso tempo richiama ad un ancestrale bisogno di comunità, perché, una volta messo te stesso in condizioni di sicurezza, sarai disponibile ad aiutare gli altri. Non per romanticismo ma perché inconsciamente ci si aspetta che gli altri facciano altrettanto con te al momento del bisogno. Ed in tutto ciò imparo l'equilibrio nella vita: tra dare e ricevere, tra la luce ed il buio, tra il combattere ed il lasciar scorrere». Un'esperienza che è filosofia di vita.

Chiara, riavvolgiamo il nastro. Dal sole al ghiaccio, dal sud dell'Europa al nord estremo e inospitale: una decisione drastica, un taglio con le origini o un'avventura a termine?
Non ho pianificato questo trasferimento. Sono partita da Trento per Stavanger, in Norvegia, quasi sette anni fa e le isole Svalbard rappresentavano uno dei luoghi che volevo visitare. Un viaggio che ho fatto l'inverno scorso. Sono stata qui una settimana con un'amica e ho sentito le farfalle nello stomaco. Sono tornata l'estate scorsa per un mese di volontariato e poi è arrivata la decisione di trasferirmi. Diciamo che sono figlia delle Alpi, cresciuta in mezzo alle montagne, dove andavo tutti i fine settimana per camminare o lungo i sentieri in mountain bike. La Scandinavia mi ha sempre attratto per l'aspetto wild, selvaggio: città a parte, è un territorio che si può esplorare a lungo senza incontrare non solo un'anima viva ma neppure una costruzione.

Dunque con la Norvegia è stato amore a prima vista.
In realtà, in questi anni ho vissuto solo in parte ciò che mi aspettavo. Ho scoperto che può esserci anche una certa sobrietà nel bene e nel male nella natura e nelle persone, ho scoperto la semplicità, cosa vuol dire semplificare la vita e quanto siamo drammatici noi italiani. Però in Norvegia mi mancavano le emozioni forti che le Dolomiti continuano a darmi.

Emozioni ritrovate nel ghiaccio, nel freddo e nell'oscurità dell'inverno artico.
Alle Svalbard immaginavo di trovare solo una lastra di ghiaccio, una noiosa distesa bianca, perché mancano gli alberi e c'è la tundra. E invece... Qui per mesi manca la luce, manca il sole, è pitch-dark (buio estremo, ndr), è wilderness. Quando si va fuori dai centri abitati con i cani si porta sempre con sé il fucile. È il regno degli orsi polari, da un momento all'altro può succedere qualcosa perché è la natura che comanda. Si va con i cani anche quando c'è la bufera di neve perché hanno bisogno di correre. Si è a contatto con i cicli naturali della vita e della morte, scoprendo grazie agli animali che la vita è semplice, che le esigenze sono dormire, alzarsi, mangiare. Qui ci si connette a ciò che è più ancestrale. Svegliarsi al mattino è difficile: senza luce, la retina non trasmette il segnale al cervello. Per la prima volta nella mia vita ho sperimentato cosa significhi sentire il corpo pesante e la mente che fa difficoltà ad accettare di uscire dal letto.

Non è facile per chi è abituato alla luce del giorno comprendere cosa significhi vivere sempre come fosse notte. Come è la sua giornata-tipo?
In questo periodo di mancanza di luce è importantissimo avere una buona routine, perché sono le abitudini che aiutano ad essere fisicamente e mentalmente a posto. Mi sveglio fra le 5.30 e le 6, mi dedico all'allenamento o pratico yoga, poi faccio colazione, studio la lingua norvegese e leggo i giornali. Dove vivo siamo otto guide e quattro aiutanti. Tra le 6.30 e le 8 del mattino iniziamo a dare la zuppa ai cani - io sono responsabile di una trentina di esemplari - puliamo il canile, prepariamo le slitte e poi andiamo a prendere gli ospiti in città, che dista una decina di minuti di macchina. La giornata finisce fra le 19.30 e le 22 non prima di aver dato ai cani il pasto principale. C'è sempre qualcosa da sistemare, o le slitte o le casette dei cani, perché siamo noi a costruire e riparare tutto. Abbiamo giornate estremamente piene. Cerco di andare a dormire alle 22 e prima di addormentarmi leggo, sia per rilassarmi che per portare la testa altrove. E poi tengo un diario: scrivo tantissimo.

Quanto può mancare il sole in un ambiente selvaggio e inospitale?
Fra pochi giorni cominceremo ad avere un po' di luce all'orizzonte, per un paio d'ore. Non abbiamo il sole, ma c'è la luna che illumina e che quando è piena dà un senso di pace e di calma. E l'aurora boreale tiene una magica compagnia. A Natale sono tornata dalla mia famiglia a Trento ed è stato importante. Sapevo che la notte polare sarebbe stata difficile e gli amici, le cene in compagnia, le ciaspolate sono state la mia ricarica.

Il suo trasferimento alle Svalbard è a tempo determinato?
Chi arriva qui dice sempre che si fermerà per un anno e invece rimane per 4 o 5 anni, qualcuno anche per 10 o per 30. Io intanto finisco le quattro stagioni e poi vedrò. Qui mi trovo bene, anche se stare nell'Artico è dura. Se rientrerò in Italia? Sì, succederà. Essere guida con cani slitta era uno dei miei sogni e lo ho realizzato. Ma ho diverse idee in testa, anche professionali, e mi mancano le montagne, gli amici e la famiglia».

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