Il Comune al lavoro con Itea: procedura d'urgenza per trovare una casa alle famiglie sfollate

Il Comune di Trento ha aperto una procedura d’urgenza con l’Istituto trentino per l’edilizia abitativa (Itea spa), che permette di individuare alloggi aggiuntivi da destinare alle famiglie sfollate a causa dell’incendio in via Maccani di due giorni fa, attualmente ospitate al centro formativo provinciale di Candriai o che hanno trovato ospitalità temporanea da familiari e amici. Le soluzioni saranno individuate caso per caso, salvaguardando il contesto normativo.

Domani, secondo quanto riferisce l’amministrazione, tutti gli interessati sono convocati al servizio casa e residenze protette per essere dettagliatamente informati sull’iter da seguire. Si sta intanto concordando con la proprietà una modalità per individuare un soggetto unico a cui enti e associazioni possano fare riferimento per aiutare le famiglie senza casa, offrendo vestiti, generi alimentari, ma anche possibili offerte di alloggi temporanei.

L'incendio in via Maccani all'ex Lidl


 

L’emergenza incendio è cessata alle 13 di ieri, ma solo in serata, dopo quasi 48 ore di presidio fisso, i vigili del fuoco permanenti di Trento ed i volontari del distretto hanno lasciato l’edificio di via Maccani che fino a qualche mese fa ospitava il supermercato Lidl. Sono stati demoliti mille metri quadri di tetto e l’intero ultimo piano: un intervento necessario data la permanenza ancora ieri mattina di parti fumanti tra le strutture in legno e gli arredi.

Si stimano danni attorno ai 3 milioni di euro.

«È stato necessario asportare tutte le parti in legno per poter dichiarare chiuso l’intervento per incendio e permettere la messa in sicurezza dell’edificio e la predisposizione di una copertura di emergenza - spiega l’ingegnere Gabriele Pilzer, funzionario dei vigili del fuoco - L’ultimo piano era compromesso. Le strutture di legno intersecavano le parti in muratura, rendendo necessaria una bonifica più approfondita». Le abitazioni al primo piano si sono salvate dalle fiamme, non dall’acqua utilizzata per spegnere il rogo: i vigili del fuoco hanno prestato attenzione anche a questo aspetto, per evitare ulteriori danneggiamenti, ma le infiltrazioni sono state inevitabili.

Per quasi due giorni in via Maccani si sono alternati duecento tra pompieri permanenti e volontari. «Un intervento molto complicato», non ha esitato a definirlo il comandante dei vigili del fuoco permanenti di Trento Ivo Erler. Era da poco passata la mezzanotte di venerdì quando un inquilino, Filippo Copparosa, ha sentito un rumore strano provenire dal tetto, un crepitio continuo, simile alla grandine: era il fuoco che stava divorando la copertura. L’immediata reazione dell’uomo e della compagna, Valeria Rensi, ha permesso ai vicini di scappare prima che fosse troppo tardi: hanno svegliato tutti e chiamato i soccorsi. Le 35 persone che erano presenti quella notte nelle loro abitazioni sono riuscite a mettersi in salvo. È stato un miracolo. Complessivamente gli sfollati sono 40. L’ultimo piano - quattro appartamenti e sette locali che ospitavano studi professionali ed altre attività - non esiste più, mentre gli undici appartamenti al primo piano rimangono inagibili, in attesa delle indagini statiche sulla tenuta del solaio.

«Abbiamo proceduto con lo smassamento e la pulizia delle parti combuste e pericolanti. L’obiettivo è di finire in giornata, per poi restituire l’edificio alla proprietà per il ripristino della struttura» evidenzia il comandante Ivo Erler. «Mentre si procede con lo smassamento vengono fatte le verifiche per capire le cause dell’incidendio. Al momento non abbiamo alcun elemento che faccia pensare al dolo, non abbiamo alcun riscontro» spiega. Le fiamme sarebbero partite all’ultimo piano nella parte nord dell’edificio. «Non è chiaro se l’incendio si sia sviluppato in un appartamento o dal tetto - prosegue il comandante dei vigili del fuoco permanenti - Se le fiamme fossero rimaste nell’abitazione l’incendio era confinabile. Invece hanno preso la copertura procedendo in maniera molto veloce e facendo un disastro. Per capire l’origine del rogo analizzeremo tutte le informazioni con calma, al termine dell’intervento di pulizia».

Nessuna traccia di dolo, dunque. L’ipotesi al momento più accreditata è che il rogo sia partito da un impianto (non ci sono, invece, camini). «Incendi di questo genere non sono frequenti. Oltre alle grandi proporzioni, l’intervento è stato complicato per la tipologia costruttiva del tetto, in legno con copertura in lamiera e con un pacchetto di isolazione termica in poliuretano, confinato all’interno di lamiere che non ci lasciavano entrare con schiume o acqua per spegnere le fiamme - prosegue l’ingegnere Erler - Preziosa è stata la collaborazione dei vigili del fuoco volontari, a partite da Gardolo e Cognola, a cui si sono aggiunti i corpi di Lavis, della valle di Cembra e della valle dei Laghi. È stato un lavoro di squadra e di sistema molto intenso. C’è stata una efficace sinergia tra permanenti e volontari. Parliamo di un sistema che funziona. Abbiamo affrontato l’emergenza con forza, con attenzione, con prudenza. Non abbiamo avuti feriti né tra le persone, né tra gli animali. La conseguenza è stato lo shock per molti di perdere tutto ciò che avevano».

Dei quaranta sfollati, undici hanno accettato l’invito del Comune a trasferirsi nella colonia Aerat di Candriai, dove potranno rimanere fino a venerdì prossimo. «Abbiamo la possibilità di assegnazione straordinaria degli alloggi. Già da domani mattina (oggi per chi legge, ndr) incroceremo i dati delle persone e le contatteremo per fare una valutazione situazione per situazione» evidenzia l’assessore comunale Mariachiara Franzoia.

Valeria Rensi, che ha visto le fiamme distruggere sia l’appartamento in cui viveva che il suo studio professionale, è persona di fiducia della proprietà, la Fincar spa dell’ingegnere Giuliano Salvetti. L’edificio è coperto da assicurazione. «Inizieremo le verifiche sulla stabilità e domani (oggi, ndr) effettueremo il sopralluogo con le imprese - spiega - È presto per prevedere la tabella di marcia degli interventi. Speriamo che il Comune ci dia una mano per i tempi delle autorizzazioni».


«FUGGITO IN PIGIAMA»

Gli occhi sono arrossati, per il freddo certamente, ma anche per il dispiacere: tutta una vita - i documenti, i vestiti, i piccoli e grandi oggetti che fanno parte della quotidianità - bruciati dal fuoco. E quel che rimane degli appartamenti al secondo piano, ridotti a scheletri di mura annerite e travi fumanti, è buttato giù dalla pinza del braccio meccanico di una ditta privata. Le operazioni di smassamento - come viene chiamata la demolizione e l’asportazione di ciò che rimane del rogo di venerdì notte - vengono osservate in silenzio, nel piazzale dell’edificio di via Maccani.

A guardare i mezzi in azione e l’autogru dei vigili del fuoco permanenti, ieri mattina, sono gli inquilini che hanno perso tutto e che ora sono costretti a reinventarsi una vita. «Sono senza documenti, nell’incendio ho perso tutto» racconta Ivan, che osserva il braccio meccanico demolire le pareti ed i mobili bruciati dell’appartamento in cui viveva, all’ultimo piano. «Stavo dormendo. Sono scappato così come ero, con ciabatte e pigiama. Ed ora sono rimasto senza nulla. Mi stanno ospitando gli amici, ma dovrò presto trovare un nuovo alloggio».

L’unica consolazione è essere riuscito a salvare l’auto: «Era parcheggiata nel garage, lì le fiamme non sono arrivate. Devo ringraziare i vigili del fuoco, che sono stati gentilissimi ad aprirmi la portiera. Quando sono scappato da casa non ho preso con me le chiavi dell’auto, ma per fortuna all’interno dell’abitacolo conservavo il duplicato». I vestiti sono prestati, così come le scarpe. «Anche noi stavamo dormendo quando un vicino ci ha svegliato dicendoci che era scoppiato un incendio. Siamo corsi nel piazzale senza neppure cambiarci e non abbiamo preso nulla con noi» spiegano Mariana Sultan e il figlio Marcel. Il loro appartamento è al primo piano. «Non sappiamo cosa troveremo all’interno. Non siamo ancora riusciti ad entrare. Speriamo almeno di poter recuperare qualche vestito. Per fortuna ci sono state persone che ci hanno aiutato dandoci i vestiti per cambiarci» racconta Mariana, che al momento è ospite della sorella. Nel cortile è parcheggiato un camper, una sorta di «supporto logistico» per un gruppo di ingegneri che aveva lo studio all’ultimo piano. Nel rogo sono stati persi documenti, computer, archivi di anni di lavoro. Accanto al mezzo, sull’asfalto, è stato depositato ciò che rimane di uno strumento professionale, rovinato dal calore delle fuoco ed annerito dalle fiamme: un costoso sismografo diventato rottame, simbolo della ferocia dell’incendio.

Poco più in là sono state gettate alcune travi annerite, ancora fumanti. Appartamenti, studi tecnici e professionali, attività commerciali: tutto è andato distrutto e se qualcosa si potrà salvare sarà ben poco rispetto al danno. Sabrina Bolognani è la titolare della lavanderia self service Wash Italy, al piano terra. Lì le fiamme non sono arrivate, ma l’acqua utilizzata dai pompieri per spegnere il fuoco è filtrata nel locale, allagandolo. «Speriamo di riuscire a salvare qualcosa, ma sarà difficile. È una lavanderia automatica e tutto è computerizzato - spiega osservando il lavoro ininterrotto dei vigili del fuoco - Ieri (sabato per chi legge, ndr) sono riuscita solo a mettere piede nella lavanderia e a portare via il computer, bagnato. Ho tirato giù le valvole dell’impianto e sono uscita: c’erano venti centimetri di acqua e il cartongesso era rovinato, mentre l’ultimo piano ancora bruciava». Sabrina Bolognani era tra le tante persone che hanno passato ore in strada, la notte del rogo: vive a poche centinaia di metri dall’edificio e, alla vista delle fiamme, è corsa in via Maccani vedendo sgomenta le fiamme che stavano divorando il tetto e l’ultimo piano dell’edificio in cui ha sede la sua lavanderia.

«C’è chi ha perso la casa, mentre io ho perso il lavoro, frutto dei sacrifici di una vita. Spero di poter riaprire» aggiunge, stando al margine dell’ampio piazzale che dà sulla rotatoria. Non possono entrare mezzi che non siano quelli dei vigili del fuoco e delle forze dell’ordine. Un uomo della security impedisce alle persone di avvicinarsi troppo all’edificio, per motivi di sicurezza. Chiunque passi alla rotatoria non può non alzare lo sguardo sulla profonda ferita inferta dal fuoco.


HANNO PERSO TUTTO

A Candriai, nella colonia di Aerat che li ospiterà per alcune notti, sono arrivati sabato poco dopo le 13. Con quello che avevano indosso, e poco altro. Undici dei quaranta sfollati che venerdì notte hanno visto andare in fumo le loro abitazioni in via Maccani hanno perso praticamente tutto: da ricordi e piccole cose che ogni casa custodisce gelosamente, a vestiti, scarpe, libri e beni di primissima necessità. «Alcuni di loro mi hanno detto che i giacconi che avevano erano un prestito di amici, perché nella fuga da casa non erano riusciti a portare via nulla, nemmeno il cappotto», racconta Gabriella Fedrizzi, responsabile della struttura sul Monte Bondone, gestita dalla cooperativa guidata da Edo Grassi.

Gli undici ospiti sono quasi tutti di origine ucraina, e sono gli unici che al momento non hanno trovato una sistemazione immediata da amici o parenti. Il Comune si sta attivando per una sistemazione più vicina alla città, anche perché si tratta di persone che lavorano, con figli piccoli che vanno a scuola. Le persone accolte non sono sole nella struttura: la colonia sta infatti ospitando anche altre due comitive, e da metà mese ne arriveranno altre.

«Sono rimasta davvero colpita - prosegue Fedrizzi - una ragazza che frequenta il liceo linguistico mi ha detto che non ha più niente: quando si ascoltano queste storie si resta attoniti. Sono arrivati sabato verso le 13, erano impietriti e stanchi, anche perché quasi tutti avevano passato la notte svegli: come prima cosa abbiamo offerto loro del tè caldo e del caffè, poi con calma hanno mangiato tutti insieme, della pasta e un po’ di carne con il contorno. All’arrivo li ho visti di poche parole, credo fossero anche un po’ tesi e impensieriti, comprensibilmente. Poi la sera ho notato che c’è stata un po’ più di distensione, ci hanno raccontato le loro storie, molti di loro sono qui a Trento da dieci-quindici anni». Dopo il pranzo qualcuno è rimasto nelle camere appositamente preparate, altri sono andati nel supermercato più vicino per comprare le cose strettamente necessarie per i prossimi giorni. Nel tardo pomeriggio sono passati gli agenti della polizia locale per chiedere nuovamente se ci fossero bisogni particolari e se fosse tutto a posto. «A cena hanno mangiato di nuovo tutti insieme, ma sono subito andati a letto perché erano molto provati. Per tutto il giorno non hanno fatto altro che ringraziarci, e noi siamo felici di aver dato una mano e averli accolti».
Ieri, però, subito dopo la colazione, sono tornati tutti in città, e in primis in via Maccani, per toccare con mano la situazione: «Sono andati via prestissimo. Il primo pensiero, però, era uno solo: sapere cosa ne è delle loro case».

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