Eros e montagne, è ormai un classico

I secoli passano, ma le playmate delle rocce ci portano sempre lì, all'immagine di una montagna ludica che già nel 1871 Leslie Stephen (padre della scrittrice Virginia Woolf) stigmatizzò come playground. Campo di gioco turistico, divertimentificio. Sicuramente oggi urgono altri problemi, strutturali, ma il deretano rifugiato che troneggia in primo piano (quindi non più un posteriore dietro le quinte) è sempre un'epifania simbolica di qualche realtà, stai a vedere anche di qualche retropensiero, che occorre affrontare sfacciatamente

di Duccio Canestrini

I secoli passano, ma le playmate delle rocce ci portano sempre lì, all'immagine di una montagna ludica che già nel 1871 Leslie Stephen (padre della scrittrice Virginia Woolf) stigmatizzò come playground.
Campo di gioco turistico, divertimentificio.
Sicuramente oggi urgono altri problemi, strutturali, ma il deretano rifugiato che troneggia in primo piano (quindi non più un posteriore dietro le quinte) è sempre un'epifania simbolica di qualche realtà, stai a vedere anche di qualche retropensiero, che occorre affrontare sfacciatamente.
Panorami e/o natiche mozzafiato.
Nota bene, un fiato già dimezzato dalle sciate e dalle camminate: quasi una crudeltà.
Guardare in quella direzione o guardare da un'altra parte certo si può.
Salvo che in altri contesti puoi scegliere se passare dal quartiere birichino o fare un'altra strada.

Nei rifugi di montagna invece non ci sono molte alternative. O mangiar questa minestra o saltar dalla finestra.
Di fatto il tema di questo articolo di giornale andrebbe montato per immagini eloquenti. Hanno ragione i gestori dei rifugi che ingaggiano cubiste delle nevi, per intrattenere la clientela, a sostenere che non è una novità. Avvenenti fanciulle venivano ritratte nei manifesti di promozione turistica già negli anni Venti e Trenta del secolo scorso, sotto slogan che invitavano a visitare il Trentino. Penso anche a pregevoli precedenti come il film intitolato «Sole, sesso e pastorizia» (1973) dove chiappe nude sbocciano tra le vallate alpine del Tirolo. E poi i cinepanettoni moderatamente scollacciati della serie Vacanze di Natale che hanno senza dubbio nobilitato e reso onore al meglio di Cortina, nei primi anni Novanta. Lo dico per chi non coglie l'ironia: boiate pazzesche. Erotismo trattenuto a stento nel 1997, quando il poster osé di Milo Manara per il Filmfestival di Trento, con la ninfa nuda nel laghetto alpino, venne dapprima commissionato e poi bocciato dal Cai perché non «rispettava le tradizioni».
Primavera dell'anno 2000: la polemica sulla campagna dell'Apt del Trentino («La tua ricarica naturale»), ribattezzata per ovvie ragioni «Vette al vento»; una campagna in cui oltre alle ammirevoli e incriminate mammelle per la verità comparivano poderosi pettorali maschili. Un disastro di scorrettezza politica, e una gatta da pelare per Dellai, con l'allora presidente della Commissione provinciale per le pari opportunità, Daria de Pretis, che condannò la trovata come una grave, inaudita prassi di mercificazione del corpo femminile, che ledeva la dignità di tutte le donne (vedi L'Adige del 16 aprile 2000).
Dunque sì, i precedenti ci sono, ed è facile inserirli in una cornice di critica storica e sociale dell'urbanizzazione della montagna. Penso per esempio alle vignette di altalene, giostre, folklore, acrobati, clown, lotterie, cantanti, carrucole e teatrini contenute nel classico «La montagne à travers les âges» di John Grand-Carteret (1903). Dove non mancano ardite donzelle in gonne di crinolina, spericolatamente esposte agli sguardi degli alpinisti. Ma quella era satira.
Ecco perché di primo acchito l'immagine di quel lato B che reclamizza un rifugio di montagna sembra una satira. La decontestualizzazione è così forte, che pare un paradosso voluto, che vuole comunicare qualcosa. Ma cosa? Giusta credo l'idea di piantarla con la sofferenza dell'andare in montagna. Gioia, dicono, invece. E gioventù. Sarà, ma ai ragazzi che si intende attirare quel tipo di gioia non manca. Quei panorami mozzafiato mancheranno casomai ai solinghi gestori di rifugi. Né le ragazze che accompagnano gli escursionisti immagino siano felicissime dell'inevitabile confronto con le go-go girls.
A pensarci bene è  un po' quello che accadeva con certa promozione turistica, cataloghi e dépliant, di viaggi più o meno esotici, tutti con il sedere della brasiliana in copertina, che si trattasse di Seychelles, Rimini o Cuba. Solo che i tour operator, con la perspicacia che li contraddistingue, dopo qualche decennio hanno capito che quell'icona rischiava di trasformarsi in un boomerang. Anzitutto perché a viaggiare sono anche e forse più le donne. Poi perché la meta dei viaggi in coppia, è dimostrato, la scelgono quasi sempre le signore. Le quali non vanno necessariamente matte per i sederi femminili in copertina. E non si evochi un presunto meccanismo di identificazione, non funziona così. Casomai parliamo di glutei o di altri muscoli maschili, ma com'è noto nella nostra cultura, che è al contempo sessuomane e sessuofoba, l'erotismo maschile scorre entro alvei ben tracciati, fuori dei quali s'incappa in tabù, omofobie, pruderie, pornologie, ecc.
Il fatto è che viviamo dentro un frittatone planetario, un melting pot, (vernacolo: melting parol) dove usi e abusi, costumi e consumi sono praticati e serviti senza scrupoli, accompagnati da discorsi pasticciati intorno a fantomatiche identità, e abbondante smania di battere cassa. Metaforicamente un bordello, direi, dove tutto è compatibile con tutto. Dove le specificità dell'ambiente, della cultura, della ristorazione, del territorio e degli stili di vita sono allegramente andate su per il camino, e così sia. Ma allora bisogna essere onesti, e dirlo, dire le cose come stanno. Poi ciascuno la pensa come gli pare, se sia il caso o non sia il caso.
Dunque se non è satira, se non è un boomerang, se non è tradizione e neppure innovazione, se non è bordello in senso proprio ma solo in senso traslato, questa faccenda è proprio quello che sembra: un bel culo che serve a vendere un «prodotto», così com'è sempre accaduto in pubblicità, per esempio delle automobili. Anche se a dire il vero in questo caso sembra più la pubblicità di una marca di biancheria intima che di una destinazione montana. Ipocriti, pacchiani, bigotti, sbracati o moralisti, sembra che non ne imbrocchiamo una giusta. Chissà, in questa terra conciliare, ma non conciliante, forse ci hanno rovinati da piccoli. Non del tutto, però. Possiamo sempre ripensarci e parlarne. Se non ci si mozza il fiato, beninteso.

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