I baristi: «Basta con i limiti di orari»

Quello dei pubblici esercizi è un settore vivace, pronto al cambiamento, perché dialoga quotidianamente con le abitudini della gente. Attorno al collo di baristi e ristoratori trentini c'è però un cappio che non allenta la sua stretta: la legge Olivi. Ieri, durante l'assemblea annuale dell'Associazione pubblici esercizi, il presidente  Giorgio Buratti  ha lanciato un appello alla politica provinciale, affinché favorisca la liberalizzazione del commercio. In particolare, la categoria accusa l'amministrazione di non aver ascoltato, all'interno del dibattito sugli orari, la voce di chi sta dietro ai banconi e di chi serve ai tavoli

di Laura Galassi

Quello dei pubblici esercizi è un settore vivace, pronto al cambiamento, perché dialoga quotidianamente con le abitudini della gente. Attorno al collo di baristi e ristoratori trentini c'è però un cappio che non allenta la sua stretta: la legge Olivi.
Ieri, durante l'assemblea annuale dell'Associazione pubblici esercizi, il presidente  Giorgio Buratti  ha lanciato un appello alla politica provinciale, affinché favorisca la liberalizzazione del commercio. In particolare, la categoria accusa l'amministrazione di non aver ascoltato, all'interno del dibattito sugli orari, la voce di chi sta dietro ai banconi e di chi serve ai tavoli.
Anche se la legge Olivi ormai ha i giorni contati - a dirlo è lo stesso assessore -, i pubblici esercizi vogliono poter dire la loro in materia di aperture. Di fatto, nel confronto pubblico sul commercio si è sempre parlato delle domeniche, ma mai di stagionalità, orari e riposi settimanali.
Se dal canto suo il consiglio provinciale a maggio discuterà il disegno di legge sui nuovi interventi anticongiunturali, dove è inserito l'articolo che avvicina la legge di Olivi a quella nazionale, i pubblici esercenti non vogliono rimanere con le mani in mano.
«Le liberalizzazioni di Monti potenzialmente valgono anche per la nostra categoria, consentendoci un cambiamento che potrebbe rivoluzionare il settore», premette Buratti. L'attenzione della politica è però sempre stata rivolta al commercio puro, «tradendo il fatto che forse si tratti più di una battaglia ideologica che di una vera analisi dei bisogni del territorio».
Supponendo che la liberalizzazione sfrenata tanto temuta da Olivi arrechi gravi danni ai piccoli alimentari e ai negozi a gestione famigliare, per i pubblici esercizi la possibilità di organizzare la propria attività in modo autonomo sarebbe invece una manna. «Addio all'obbligo di tenere aperto come minimo per sei ore, addio ai riposi settimanali vincolati e alla stagionalità stabilita», elenca il titolare del bar Unione.
L'allarme lanciato da baristi e ristoratori è quello di un settore soffocato dalla burocrazia - soprattutto da quella per i cambi di orari - e caratterizzato dalla mancanza di flessibilità. «Per noi sarebbe importante poter decidere di chiudere in anticipo la sera se non ci sono clienti o di non aprire la mattina se il giro è ridotto. Allo stesso modo ci piacerebbe organizzarci sull'ora di chiusura», sottolinea Giorgio Buratti.
Togliere le limitazioni stabilite dalla legge Olivi per i bar e i pub significa aprire la porta a tante nuove opportunità: «Abbiamo bisogno di poter accogliere le innovazioni e di poterle trasferire nel lavoro di ogni giorno», ha detto il presidente durante l'assemblea annuale.
In attesa che la politica diradi la nebbia legislativa che riguarda il comparto del commercio, l'Associazione pubblici esercizi chiede anche un intervento ad hoc sulla normativa del settore. «Ci aspettiamo che la prossima giunta metta in agenda la revisione completa della legge: abbiamo bisogno di una normativa che ci sia vicina e che ci consenta di sviluppare la nostra attività». Invece di sommergere gli imprenditori di burocrazia, è il senso dell'intervento di Buratti, la Provincia deve lasciare libere le aziende di perseguire il loro business.
«Eravamo contrari alla liberalizzazione delle licenze che ha ucciso la nostra categoria e la legge Bersani ha tolto qualsiasi tipo di regola. Chiediamo più libertà negli orari, nei contratti di lavoro e la programmazione delle licenze. Questa volta vogliamo essere ascoltati».

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