Guerra / Il commento

Lo zio di Bertolini, foreign fighter roveretano: «Non giudico la sua scelta di combattere»

Il 29enne, residente a Manzano di Mori, è stato arrestato nei giorni scorsi a Milano Malpensa, al rientro in Italia dopo la missione al fianco dei filo-russi. Lo zio: «Non lo vedo dal 2015, quando andò in Australia. Non ci siamo più visti e per quel che ne so non è mai tornato a Manzano»

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di Giancarlo Rudari

MORI. «Quella di andare a combattere all'estero è una scelta di Alessandro. Una scelta che non mi permetto di giudicare... Per me ognuno la può pensare come vuole e di conseguenza decidere cosa fare nella vita» Stefano Bertolini (foto a destra) è lo zio di Alessandro, il giovane di 29 anni residente a Manzano di Mori in Val di Gresta, arrestato all'aeroporto di Malpensa al rientro in Italia dopo una missione di guerra dalla parte dei filo-russi in Ucraina.

Si affaccia dalla terrazza di una casa in sassi tipica della valle, in parte destinata ad appartamento vacanze, denominata «El vecio fenil», che lui gestisce. In un sabato di luglio nel paesino immerso nell'«orto biologico del Trentino» regna il silenzio interrotto dal gorgheggiare di una fontana, dalla campana che annuncia domani il dì di festa e dai calci al pallone di un gruppetto di ragazzini che giocano in strada.

«So già cosa volete sapere - si affretta ad anticipare la domanda una donna mentre carica sul furgone piantine di ortaggi - Ma io non vi dico niente. Se non che qui, tutti andiamo d'accordo e ci vogliamo bene».

Fa piacere, ma la notizia di Alessandro? «Non ci provi, io non ci casco. Se le ho detto che non parlo, non parlo. Mi pare che può bastare o no?». «Quello che so di lui l'ho sentito in televisione ieri sera. Alessandro ha l'età di mia figlia, ma al di là di questo no so cosa dire. Eppoi - conclude gentilmente un'altra donna mentre cura le petunie bianche e azzurre sul balcone di casa - io non abito nemmeno qui e non sempre so cosa succede qui».

Tra imbarazzo e solidarietà paesana, di quel ragazzo nato e cresciuto tra quelle case e poi partito a combattere al soldo di qualche signore della guerra o di qualche potenza nessuno parla volentieri. Dalla valle Alessandro Bertolini, con simpatie politiche per Forza Nuova, manca da anni, da prima ancora dalla scelta di diventare un "foreign fighter", un mercenario andato a combattere in un Paese straniero, nella regione del Donbass a soli 19 anni, nel 2016 e lì, a quanto pare, è sempre rimasto. Fino al rientro in Italia e l'immediato arresto.

Ad aspettarlo in fondo alla scaletta dell'aereo c'erano i carabinieri dei Ros di Genova, città dalla quale è partita l'indagine della Direzione distrettuale antimafia e antiterrorismo. Secondo la Procura avrebbe compiuto «azioni, preordinate e violente, dirette a mutare l'ordine costituzionale o a violare l'integrità territoriale dell'Ucraina, Stato estero di cui non era cittadino né stabilmente residente, senza far parte delle forze armate di alcuna delle parti in conflitto».

«Non so di quali reati sia accusato mio nipote. È dal 2016 che non lo vedo - aggiunge lo zio - Anzi, per essere più precisi dall'anno prima quando, era il 2015, andò in Australia. Dopodiché non ci siamo più visti e per quel che ne so non è mai tornato a Manzano: sa, io abito a Rovereto e qui vengo soltanto d'estate...». E su questa vicenda cosa ne pensa suo fratello Sergio, papà di Alessandro, ex paracadutista? «Lui lavora a Bergamo, qui torna più o meno ogni due settimane e capita anche di non incontrarci». Ma vi siete sentiti al telefono dopo l'arresto di Alessandro? «No, non ancora».

Ma sulla scelta di suo nipote di combattere da mercenario si sarà fatto un'opinione? «Proprio no. Non entro nel merito delle sue scelte. Lui avrebbe voluto arruolarsi qui in Italia ma non l'hanno preso. In merito all'arresto credo che sia una questione "politica": sappiamo con chi si è schierato. Magari se si fosse arruolato nella legione straniera le cose avrebbero preso un'altra piega...» conclude lo zio.

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