Giustizia / Il caso

La casetta al lago di Cei e la causa del Comune: dopo 55 anni la sentenza, va abbattuta

Il proprietario pagava l’affitto all’Asuc, negli anni ha allacciato fognature, acqua e corrente, ma il Tribunale amministrativo dà ragione al Municipio: non è abusiva, ma prevale il bene civico

di Nicola Guarnieri

VILLA LAGARINA. Per il Comune, la Provincia ed ora anche per il Tar quella casetta in lamiera di 35 metri quadrati, costruita a metà degli anni Sessanta del secolo scorso al lago di Cei, va abbattuta perché insiste su un uso civico e quindi godibile da tutta la collettività e non da un privato. E questo nonostante la legge, all'epoca della realizzazione, non prevedesse la richiesta di alcun titolo per costruire e dunque non si tratta affatto di una edifico abusivo. Ma, come detto, non basta e dunque giù tutto, anche se con un «ritardo» di ben 55 anni.

Per decenni, quell'abitato da diporto realizzato su autorizzazione dell'Asuc è diventato una valvola di sfogo per il tempo libero. Tanto che il proprietario, oltre a pagare regolarmente l'affitto agli usi civici, ha pure provveduto a collegarlo con la fognatura, l'acqua potabile e la corrente elettrica.

Al passaggio del millennio, però, il Comune di Villa Lagarina ha deciso di mappare i manufatti del lago di Cei visto che la zona, nel frattempo, è diventata di fatto fascia protetta in un ambito ritenuto naturalistico e paesaggistico da tutelare.

La casetta in mezzo al prato, in altre parole, andava abbattuta pur non essendo abusiva. Ma i costi dell'operazione sono elevati visto che, al di là della demolizione, si devono togliere tutti gli impianti relativi alle utenze.

Ad impugnare questa decisione al Tar è stata la figlia dell'uomo che aveva firmato il contratto con l'Asuc. E che aveva concordato il diritto di prelazione in caso di vendita. Ma poi sono cambiate le leggi e, soprattutto, si è deciso di preservare Cei con tanto di piano attuativo predisposto nel Duemila.I passaggi che si sono susseguiti negli anni sono stati tanti ma la pietra tombale sulla casetta delle vacanze l'ha messa proprio il Comune che ha deciso di rilanciare Cei e le sue potenzialità rivolte ad un turismo sostenibile.

A nulla è valso il ricorso al Tar. I giudici amministrativi hanno infatti ricordato che, «dal fatto che l'uso civico costituisce un vincolo posto al fine di tutelare un pubblico interesse, volto ad assicurare un'utilità alla collettività ed ai suoi componenti che ne usufruiscono, discende che, fintanto che il vincolo permane, i terreni in tal senso gravati non hanno alcuna possibilità, anche remota, di essere avviati all'edificazione.

Esiste una oggettività incompatibilità tra l'impiego esclusivo dell'area occupata da manufatti e l'esistenza di determinati usi civici».

Tradotto significa che il bene collettivo prevale su quello personale. «L'impossibilità sul piano giuridico di consentire edificazioni di strutture immobiliari da parte di privati su terreni appartenenti al demanio civico comporta, quale logica e diretta conseguenza, che qualora tali manufatti vengano realizzati questi siano abusivi per antonomasia e che, per tali ragioni, essi sono legittimamente assoggettabili al regime della demolizione».

Insomma, il Tar ha stabilito che, nonostante tecnicamente la casetta non sia abusiva, va comunque abbattuta. Per buona pace degli eredi di chi, al momento della costruzione, abbia seguito tutte le regole senza sgarrare. E così, dopo 55 anni, quel posto di relax va tolto di mezzo e restituito al Comune il terreno così com'era, 55 anni fa appunto.

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