Pandemia / La storia

Don Lino Zatelli commosso: «Sono guarito dal Covid, medici fantastici»

Il parroco trentino è stato curato all’ospedale di Rovereto: “Quando mi hanno detto che potevo tornare a casa ho pianto”

Coronavirus Gli ultimi dati trentini

di Giorgio Lacchin

ROVERETO. È per me un imperativo morale ringraziare tutto il personale del reparto Covid dell'ospedale Santa Maria del Carmine di Rovereto. Quel reparto è un'eccellenza della Medicina trentina».

Don Lino Zatelli, parroco in san Carlo, parla e s'interrompe, ricomincia e s'interrompe un'altra volta. Si emoziona ricordando i giorni in ospedale, l'umanità dei medici e le cure ricevute, i volti degli altri malati e le preghiere dei parrocchiani.

«Dall'infermiere al dirigente, dall'operatore socio-sanitario al medico: tutti professionisti straordinari». Mica per niente li chiamano eroi. «Non chiamiamoli eroi. Non mi piace. Io li definirei persone esperte in umanità».

Una buona definizione.

«Ti seguono 24 ore su 24, ti chiamano per nome, sempre, ti guardano con uno sguardo amicale: hai passato bene la notte?, chiedono, e ora come va? Non sei un numero per loro, ma una persona unica, preziosa».

E questo aiuta a guarire.

«È come ti si accostasse un amico, un fratello, e ti abbracciasse. Quando entri in quel reparto ciò che ha scritto il Papa - tutti fratelli - lo vedi coi tuoi occhi. Questa esperienza mi ha fatto capire che la fede più grande è l'umanità, quell'umanità che trovi nei medici e nei compagni di ventura, in camera. L'essere fratelli è scritto nella vita, non in un testo».

Neppure se l'ha scritto il Papa.

«Quando mi hanno detto che potevo tornare a casa ho pianto, lo giuro, mi sembrava di essere egoista perché me ne andavo e tutti loro restavano; perché nasce un rapporto tra sofferenti che ti cambia la vita».

Non l'aveva mai provato prima?

«Mai».

Eppure non sarà stata la prima volta che ha sofferto.

«Il Covid è diverso, abbatte le difese psicologiche. In parrocchia hanno pregato tutti i giorni per me: quando me l'hanno detto mi sono girato dall'altra parte, nel letto, e ho pianto. Non so come farò a sdebitarmi con loro: li ho sentiti vicini, mi hanno trasmesso forza. Li rivedrò a Pasqua, il 4 aprile, celebrerò la messa dopo un mese e mezzo e li ringrazierò con tutto il cuore. Il 19 febbraio il primo tampone positivo, 11 giorni chiuso in canonica curato dalla dottoressa Vittoria Facchinelli, straordinaria anche lei, poi 12 giorni in ospedale con la paura di non farcela a tornare come prima. E ora la convalescenza. Ma ormai ci siamo, tra pochi giorni rivedrò i volti della mia gente. E sarà bellissimo».

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