Jie Yang, da 27 anni in Trentino «Ma ora la gente mi respinge»

di Matthias Pfaender

Occhiatacce. Gente che cambia lato della strada quando la vede. Qualcuno addirittura si copre la bocca, con le mani o la manica del giubbotto. Effetto psicosi da Coronavirus. Succede a Rovereto, in Trentino.

Nella città che Jie Yang, cittadina cinese di 47 anni, nata a Lan Zhou (provincia nordoccidentale del Gansu) ha scelto 27 fa anni come sua nuova casa. Prima un viaggio da Pechino organizzato dall’università, dove studiava la lingua italiana. Poi l’arrivo nella città della Quercia, dove trova l’amore di un italiano, si sposa e decide di rimanere e costruirsi una nuova vita. Oggi è traduttrice e mediatrice interculturale e linguistica. Insomma, è il punto di contatto tra la comunità cinese lagarina (in tutto il Trentino sono circa duemila i cinesi stabilmente residenti) e le istituzioni pubbliche, giuridiche e del mondo dell’economia locali. Per questo le sue parole, nei giorni dell’esplodere dell’allarme per il possibile contagio del “virus cinese”, sono tanto più significative: perché rappresentano idealmente la voce dell’intera comunità cinese. «Non mi sono mai sentita così, emarginata e rifiutata» esclama Yang, nel consegnare alla redazione dell’Adige una lettera aperta indirizzata ai trentini tutti, a quelle persone che fino ad oggi l’hanno fatta sentire benvoluta e a casa.

«Mio amato Trentino, mi chiamo Jie, ho gli occhi a mandorla ed i capelli neri. Ventisette anni fa mi hai accolto fra le tue braccia. Per tutti questi anni, mi hai abbracciato, coccolato ed amato. Mi sento tua figlia come tutte le altre persone che sono nate e cresciute in questa terra meravigliosa. Ma in questi giorni qualcosa è cambiato. In questi giorni, la mia patria natale sta affrontando un periodo di dura prova. Io, assieme ai miei connazionali che si trovano a circa 10mila chilometri di distanza dai propri cari, ci siamo attivati in svariati modi per sostenere il passaggio di tale crisi che ormai non riguarda più solo la Cina, ma il mondo intero. Siamo pronti a sacrificare la nostra vita quotidiana per evitare di danneggiare la terra che ci ospita. Ma non è questo che voglio gridare».

Perché non è tanto l’angoscia, enorme, per i familiari lasciati in Cina a rendere avvilente e triste la situazione di Jie Yang, quanto il repentino cambio di atteggiamento di parte dei trentini nei suoi confronti. «Spero, nel rendere pubbliche queste mie considerazioni, di cambiare qualcosa, di far vedere il mondo dal nostro punto di vista - ci spiega -. Per esempio l’altro giorno sono andata a Trento, in uno degli uffici della Provincia. Dovevo fare il corso di formazione, perché sarò una delle addette del nuovo numero verde istituito dall’Apss per dare informazioni ai cittadini cinesi sul virus. Mentre salivo le scale, ho incontrato quattro uomini. Erano operai, lì per dei lavori, e stavano scendendo. I primi tre si sono fatti da parte, spostandosi per non toccarmi, e il quarto si è messo le mani sulla bocca».

«Ma sono sempre io - continua la lettera - la ragazza con gli occhi a mandorla ed i capelli neri, amo la vita come te e come te voglio proteggere i miei cari ma soffro quando cambi strada o per quegli sguardi che mi lanci. Trovo sgradevole anche che tu ti copri la bocca quando mi vedi. Come ti sentiresti se fossi tu nei miei panni?»
E a rendere tutto particolarmente insopportabile è l’assurdità di questi comportamenti. Come se l’essere di origine cinese esponesse maggiormente Jie Yang al virus. «Sono a rischio esattamente come tutti - esclama -. L’unica differenza è che io ho delle persone care che vivono proprio al centro dell’epidemia ed io non ho nessun modo per stargli vicino!».

Infine, l’ultima dichiarazione di amore per il Trentino: «Prima o poi, in un modo o nell’altro, tutto questo passerà. Quanto arriverà il momento, vorrei tanto poter guardarti negli occhi e amarti come sempre, se non di più. Provami che sei amorevole e compassionevole. Per favore, non aggiungermi altra sofferenza».

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