L'archivio Aste donato alla biblioteca di Rovereto

I familiari di Armando Aste, rispettando le ultime volontà del celebre alpinista scomparso il primo settembre 2017 all’età di 91 anni, hanno donato alla città di Rovereto il fondo librario e l’archivio personale. Il prezioso lascito sarà affidato alla cura della biblioteca civica Tartarotti, dove sarà inventariato e catalogato. Alla fine, il materiale sarà esposto in un’area apposita della biblioteca. Una sorta di piccolo museo Aste
La donazione è composta da libri (circa un centinaio), dalla corrispondenza epistolare che per tutta la vita ha intrattenuto con alpinisti di tutto il mondo, dai suoi manoscritti originali, dai vari premi che ha ricevuto nel corso della sua vita, dalla sua attrezzatura ed alcuni reperti unici, come il primo chiodo dell’ascensione dell’Eiger. 
«La scelta di donare tutto il suo patrimonio culturale alla città di Rovereto è il segno tangibile del legame che il grande alpinista ha sempre coltivato con la sua città - spiega il dirigente della Tartarotti Gianmario Baldi -. E la decisione particolare di affidare alla biblioteca i reperti è segno anche del rapporto di amicizia e stima che ci legava. La Tartarotti affronta con onore il compito di preservare, attraverso i suoi reperti, la memoria di Armando Aste, nella consapevolezza che raccontare la storia di Aste è un compito prettamente culturale e storico. Perché raccontare la vita del più grande alpinisita della seconda metà del ’900 vuol dire raccontare anche la storia del nostro Paese, l’Italia. Armando Aste, di umili origini e fiero appartenente alla classe operaia, cattolico devoto e rigoroso, faceva parte di quegli uomini che nel secondo dopoguerra percepivano la necessità che il proprio Paese si riaffermasse dopo il disastro del conflitto. Ma Aste proponeva una concezione dell’alpinismo totalmente lontana dal “superomismo epico” che il fascismo vi aveva appiccicato. Raccontare la vita di Aste significa raccontare il Paese: se si analizza il suo rapporto di rivalità con Walter Bonatti vi si trova la sintesi del braccio di ferro sociale tra il mondo cattolico e quello socialista». 
Uomo schivo e modesto, Aste ha concentrato la sua attività alpinistica soprattutto nelle Dolomiti, dove ha compiuto diverse prime ascensioni assolute, prime invernali e solitarie, concentrandosi su pareti di grande difficoltà. Una vera leggenda per i giovani scalatori. Per lui l’alpinista era «un cercatore di infinito, perché la montagna ci indica che qualcosa “oltre” c’è». Accademico e socio onorario del Cai, ha fatto parte del Gruppo italiano scrittori di montagna. Tra le sue imprese più significative la prima salita solitaria della via Couzy nel 1960, sulla parete nord della Cima Ovest di Lavaredo, la prima solitaria della via Brandler-Hasse sulla parete Rossa della Roda di Vael nel Catinaccio, la prima soliaria della via Graffer-Miotto sullo Spallone del Campanil Basso di Brenta con la variante Poli-Trenti e discesa per la via Preuss, senza dimenticare la via Dell’Ideale sulla parete Sud della Marmolada. Nelle Ande Patagoniche aveva conquistato la Torre Sud del Paine (Cile). Armando Aste, figlio di un contadino e di una zigherana dell’ex manifattura, nacque a Isera il 6 gennaio 1926. Imparò ad arrampicare sulla guglia di Castel Corno. La sua vita rappresenta una delle pagine più belle dell’alpinismo, quando scalare era confrontarsi con le direttissime, le solitarie. «All’epoca - ricorda Baldi - l’alpinismo era quasi come il ciclismo oggi. Muoveva masse di appassionati che seguivano gli scalatori in pullman, facendo il tifo sotto la parete». 
 

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