Marangoni: vogliamo restare ma la transizione sarà dolorosa

di Chiara Zomer

«Lo stabilimento di Rovereto non scomparirà. Al termine di un percorso anche doloroso, sarà diverso da quello che abbiamo conosciuto fino ad oggi. Ma sarà sostenibile. Perché se vuoi guardare al futuro devi prima metterti nelle condizioni di esserci, in quel futuro». Massimo De Alessandri, amministratore delegato Marangoni, parla per immagini. E si nutre di grafici. Che chiariscono meglio di ogni discorso l'orizzonte degli pneumatici in Europa: la Cina ne produce a prezzi stracciati 105 milioni l'anno, tutti gli altri produttori messi insieme 87 milioni, il mercato ne chiede 120 milioni. E questo sul nuovo. Quanto al ricoperto, siamo al paradosso: il crollo del prezzo delle materie prime fa sì che i ricoperti costino fino a 20 euro in più dei nuovi cinesi. Basta questo per capire che l'equazione si fa difficile. E che il percorso da qui ad agosto, con i sindacati, sarà tutto in salita, mentre l'azienda di via del Garda si sente nel mirino di critiche che sente come ingenerose. De Alessandri risponde.
Due parole: lease back.
«Nel pieno di una crisi senza precedenti abbiamo approfittato del lease back, e lo abbiamo fatto prendendoci degli impegni, rispettati nei dettagli. Avevamo un vincolo di 300 unità lavorative fino al 2013, ne abbiamo mantenute 340. Poi ci sono i contributi alla ricerca. Ma se si vuole insistere sull'importanza della ricerca, per altro verificata su criteri europei stringenti, va sostenuta».
Vi si imputano gli investimenti all'estero.
«Non un euro del lease back è andato all'estero. Tutti i nostri stabilimenti fuori Italia, a parte il Sud Africa, erano già stati realizzati. In Sri Lanka siamo andati nel 2007. Anzi, la crisi ha fermato la delocalizzazione. Abbiamo approfittato di quella liquidità per contrastare un credit crunch che ci avrebbe messo in difficoltà».
Altre industrie hanno avuto accesso al lease back. Ma su di voi le critiche sono più accese. Pagate l'endorsement del cavalier Marangoni a Olivi, nel 2008?
«Forse. Ma è strumentale immaginare favoritismi nei confronti della Marangoni. E non solo perché il lease back ha coinvolto decine di industrie. Quella è stata un'operazione che ha avuto un avallo politico complessivo. Certo c'è una ipersensibilità quando si parla di Marangoni. Perché è un'azienda che ha fatto la storia di Rovereto. Ma quello che fa male è che quando ci sono i problemi non si tiene conto di quello che l'azienda ha dato in questi 50 anni. E poi si arriva a cose persino offensive, come quando si passano per contributi i minibond alla Meccanica».
È l'ansia. Ballano molti posti di lavoro.
«Nel 2008, come tutti i gruppi, abbiamo fatto una grande ristrutturazione, in altri stabilimenti, con chiusure anche dolorose. Abbiamo concentrato tutto qui, facendo di questo stabilimento l'head quarter. L'obiettivo di tutto questo era difendere Rovereto. Perché qui c'è il cuore, le origini si cerca di difenderle fino alla fine».
Cosa serve fare per difenderlo?
«Serve fare subito quello che abbiamo iniziato anni fa. Tutte le case realizzano l'80% delle gomme nuove per carrelli elevatori in Sri Lanka. Se vuoi e puoi competere, perché in quel settore abbiamo una quota di mercato del 12%, devi darti la stessa struttura di costo dei concorrenti».
Ma di cosa parliamo? Quanto costa un'ora di lavoro in Sri Lanka?
«150 euro al mese, lavorano 300 giorni l'anno».
Sono 75 centesimi l'ora.
«Significa che potevamo portare là tutto il settore delle gomme piene. Per preservare Rovereto, nel 2009 abbiamo ritardato il completamento della delocalizzazione. Ma in questo modo abbiamo perso profitto. L'abbiamo fatto perché eravamo riusciti ad arrivare alla sostenibilità dello stabilimento di Rovereto, anche grazie all'accordo sul contratto di secondo livello».
Sostenibilità che ora non c'è più.
«No. Ma sia chiaro: sarà un percorso difficile e doloroso. Ma non si fa perché l'imprenditore vuole guadagnare di più. L'obiettivo è mantenere lo stabilimento. Se non ci avessimo creduto, non avremmo fatto 8 milioni di investimenti negli ultimi due anni».
Cosa diventerà quello stabilimento?
«Sarà sicuramente uno stabilimento molto diverso. Ma sostenibile. Perché se vuoi guardare al futuro prima di tutto devi metterti nelle condizioni di esserci, in quel futuro».
Quanto diverso? Sui numeri c'è confusione.
«La delocalizzazione delle gomme piene va fatta entro il 2017. Così come vanno chiuse le linee non remunerative, le 4X4 e altre. Abbiamo esuberi strutturali».
E siamo a 80.
«I numeri li fa lei. Poi però ci sono le variabili che non posso prevedere. In due anni in Europa si è perso il 25% degli pneumatici nuovi. Noi dovremo adeguare l'assetto produttivo all'andamento del mercato. Dovremo contenere i costi. In questo contesto mi hanno chiesto di fare i numeri, sui possibili esuberi. E in una situazione di incertezza, responsabilmente, do il dato più pessimistico. E ho parlato di 120. Ma le variabili in gioco sono davvero tante».
Secondo lei c'è la consapevolezza del momento, tra i lavoratori Marangoni?
«In molti sì. Ma ho il timore che si speri in una scappatoia come nel 2009: avevamo annunciato 70 esuberi, abbiamo invece fatto cassa integrazione e rimandato la delocalizzazione. Adesso non si può rimandare».

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