I dati di tutta una vita cancellati azienda condannata senza danni

La disavventura capitata ad una artigiana di Arco: ha fatto causa alla ditta, l'ha vinta, ma non ha visto un centesimo di risarcimento

È l’incubo di tutti noi, o almeno della stragrande maggioranza, visto che ormai sono proprio in pochi a non dover affidare a dispositivi informatici di qualthe tipo (computer, tablet, smartphone e chissà cos’altro) gli elementi essenziali della propria vita, professionale e non.
Quello che ci racconta una artigiana arcense - personaggio tra l’altro assai noto in tutto l’Alto Garda - è ciò che non dovrebbe mai capitare.

«Accade anche nei piccoli Tribunali di provincia - è l’esordio un po’ rassegnato della giovane artigiana, che preferisce per ora conservare l’anonimato - chi fa causa ha ragione, viene acclarato anche dal giudice, ma chi ha sbagliato non è condannato a rimediare al proprio errore».

Ecco come ci riassume l’accaduto: «Questi i fatti: una primaria azienda informatica del Trentino - racconta - riceve incarico da una cliente, cioè la sottoscritta, di tentare di recuperare i dati salvati su un disco esterno, ai quali la cliente non riesce più ad accedere. Sono i dati di una vita, professionale e personale: documenti di lavoro, ricerche, studi preparatori di lavori, foto di momenti irripetibili propri e dei propri cari. Il fornitore non solo non recupera i dati, ma con un’operazione imprudente, per non dire maldestra, li cancella definitivamente, precludendo, quindi, alla cliente la possibilità di un nuovo tentativo di recupero, magari con l’intervento di un tecnico più specializzato ed in possesso di strumenti più sofisticati del primo.

Il giudice accerta l’imperizia dell’azienda, dichiara espressamente che ha commesso un errore che non può essere giustificato, che la cliente ha perso irrimediabilmente la possibilità di recuperare i suoi dati, ma…».

Ma le cose non vanno come si potrebbe pensare. «Il giudice - racconta l’arcense - respinge la richiesta di risarcimento del danno. Nemmeno un centesimo, se non altro per il danno morale patito e la perdita dei dati personali: la materia è tanto di moda, ma evidentemente ancora mal digerita nelle aule di giustizia».
Comprensibile la delusione: «Non si diceva, una volta, che chi rompe paga? Così non è, stando a quel che è accaduto».

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