La "nazionale" di breakdance italiana è nata e cresciuta nell'Alto Garda

di Chiara Turrini

Si chiamerebbero Giovanni Comencini, Albert Gelmetti e Francesco Malacarne, ma sono più conosciuti come Gion Frog (Giovanni Rana), Funny e Balena: insieme ad altri 4 ragazzi altogardesani compongono la crew, cioè la squadra, dei “Funkobotz”, e sono campioni di breakdance.

Il breaking, danza nata alla fine degli anni ‘60 nel Bronx, fu inventata, dice la leggenda, da alcune gang rivali che per non sfidarsi a colpi di pistola scelsero di sfidarsi a colpi di danza. E che danza: salti, evoluzioni su un braccio, passi veloci e ritmi altissimi per una disciplina spesso praticata sui marciapiedi o nei parchi, ed etichettata come un passatempo da perdigiorno. I ballerini si chiamano b-boys, in origine “ragazzi del Bronx” e non possono permettersi di oziare, anzi. Ci vogliono ore di allenamento e una passione vera per arrivare ad alti livelli: i “Funkobotz” sono campioni che rappresentano l’Italia nelle competizioni internazionali dove sono invitati, da San Pietroburgo ad Amsterdam, alla California, dove andranno l’estate prossima. Le gare prevedono sfide uno contro uno, due contro due, e di squadra.

«Ci è capitato di non trovare luoghi per allenarci, ovunque andavamo venivamo allontanati» dicono i ragazzi, che l’agosto scorso con l’associazione “Andromeda” hanno organizzato “Cavalieri dell’asfalto”, gara nazionale di breakdance, primo evento di questo tipo in regione. Oggi i “Funkobotz” si allenano presso l’oratorio San Gabriele di Arco. In estate “Cavalieri dell’asfalto” si ripeterà, con una nuova formula pensata dai “Funkobotz” per creare più spettacolo e si attendono b-boys da tutta Europa.

«Ho scelto la breakdance dopo tanti anni spesi a giocare a calcio – ricorda Alby Funny Gelmetti, classe ‘92 – perché nel breaking devi mettere te stesso, è un’arte più che uno sport. Iniziai con un corso presso una scuola di danza, ma non era abbastanza per me, e poi la vera breakdance non te la insegna un maestro. Così oltre alle due lezioni a scuola mi allenavo anche fuori, da solo». Oltre a ballare con i Funkobotz, Albert insegna a una quindicina di bambini. Questo è stato anche il percorso di Gion Frog, classe ‘91, e di Balena, del ‘93: «La nostra crew è come una famiglia» dicono. L’unione tra b-boys è il valore aggiunto di una disciplina che deriva da una cultura, una comunità. «Quello del breaking è un mondo sano – dice Giovanni – perché se provo a ballare con un goccio di troppo in corpo rischio di farmi male davvero».

La breakdance non è regolata da un campionato ufficiale ma ci sono eventi in tutto il mondo indetti da grandi sponsor: al “Red Bull BC One”, uno dei più grandi contest internazionali, il grupo altogardesano ha gareggiato con due membri: «La prima volta che ci arrivano due membri della stessa <+corsivo>crew<+testo>» sottolineano fieri. La mancanza di un assetto istituzionale offre dei vantaggi: «Non c’è un mondiale che sancisce il più bravo – spiega Franz Balena – l’unica regola è non toccare l’avversario. In Italia però non c’è una vera e propria scuola, uno stile caratteristico come invece esiste in Corea, negli Stati Uniti o nei Paesi dell’Est Europa».

«In estate ripeteremo la competizione di Arco, dopo l’esordio del 2014 presso il “Cantiere 26” – dicono dall’associazione “Andromeda” – perché “Cavalieri dell’asfalto” ha dato spazio per la prima volta in Trentino a questa forma di espressione artistica».

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