Livo, l'artigiano che non può espandersi

«Non di soli boschi, meli e orsi vive la Val di Non». Una frase peperina quella di Michele Agosti, titolare dell’autofficina Maddalene sita a Varollo, frazione di Livo, nonché vicepresidente degli autoriparatori trentini. Al centro di un’avventura tragicomica che sembra scritta da Franz Kafka in persona, Agosti appare provato e risentito da tutta la diatriba nata con la Provincia di Trento e la sua burocrazia.

Ma andiamo con ordine: «Oltre all’autofficina, dirigo un’azienda agricola con mio padre - ha raccontato Agosti - Una parte del terreno che coltiviamo è di fronte alla mia officina, al di là della strada principale che attraversa il paese. Nel 2007, visto che il lavoro andava bene e dopo l’assunzione di un operaio, decisi di spostare l’officina su una parte del prato coltivato, poiché essa trovava luogo nel garage di casa, ovvero dove si trova tuttora».

Proprio qui è iniziato il calvario burocratico. Agosti, anzitutto, chiede il permesso per rendere edificabile un terreno che secondo il Prg risultava agricolo. La Provincia respinge la richiesta di modificazione di destinazione d’uso e anzi sottolinea come quel prato sia considerata zona agricola di pregio. Tuttavia, in quell’anno, nascono le Comunità di Valle, le quali, con le competenze che la Provincia avrebbe loro assegnato, avrebbero potuto decidere della destinazione d’uso dei terreni nonesi e sulle quali Agosti vi riponeva fiducia: «Rispetto ai funzionari di Trento, quelli della Comunità di Valle avrebbero potuto deliberare con maggior accortezza e cognizione di causa, poiché sono sul territorio, possono ragionare sulle cose avendole sotto agli occhi».

A maggior ragione se in contemporanea i sindaci del Mezalon e della Terza sponda (più altri) stipulano il «Patto delle Maddalene», il quale si proponeva di incentivare lo sviluppo dei piccoli centri urbani, dunque con una maggior sensibilità per i censiti e la propria realtà artigianale. «Nel 2008, la Comunità mi chiede di presentare un progetto di massima, pagato di tasca mia, relativo alla costruzione che sarebbe poi divenuta la mia nuova officina. Una volta portata in Comunità, quest’ultima mi dice che non ha le competenze in merito e non può deliberare. Il tutto è stato quindi spedito a Trento, che ha nuovamente bocciato la mia richiesta».
Nel 2012, Livo è sottoposto alla modifica del Prg e Agosti inoltra nuovamente la richiesta per la modifica della destinazione d’uso, ma Trento la boccia ancora.

Agosti non si arrende e decide assieme al padre di costruire un deposito di mezzi agricoli sul terreno in questione, anche perché questi ultimi erano parcheggiati nell’officina e sul piazzale antistante. Essendo il terreno agricolo, il proprietario ha il diritto di erigere una costruzione dedicata ad una mansione inerente. Pertanto, Agosti presenta un primo progetto alla Provincia, dove il manufatto risulta essere una struttura alta con tetto piatto. Trento boccia il progetto, poiché la costruzione risulta troppo grande. Agosti propone un secondo progetto, ridimensionato, ma anch’esso viene bocciato, poiché la Provincia richiede un tetto a due falde invece che a una; il terzo progetto presentato è ancora bocciato poiché ora il tetto dev’essere piano e non spiovente. L’ultimo progetto presentato da Agosti è datato dicembre 2015, ovvero pochi giorni fa, e la Provincia ha deciso di bocciare anche questo progetto poiché «troppo impattante». In totale, il progetto viene bocciato sei volte di fila.

Michele Agosti tira le conseguenze di tutti questi anni, durante i quali ha speso forze psicologiche e molti soldi: «Si fa un gran parlare di aiutare i paesi piccoli, ma in realtà si obbliga la gente a scappare da essi. A questo punto mi converrebbe acquistare il mio bel capannone a Cles e abbandonare Livo. L’iter burocratico è infinito e ti fa morire».

Ciò che Agosti denuncia è l’estrema complicazione e le irrazionali contraddizioni che caratterizzano la burocrazia trentina ed italiana: «La progettazione che ho presentato mi è costata in totale 10 mila euro ed ogni progetto è stato bocciato. Se la burocrazia fosse chiara e precisa, la gente si metterebbe il cuore in pace di fronte ad un divieto. Ma oggi come oggi, la burocrazia dice “forse”, “aspetta”, “vediamo”, “presenta”, e intanto io pago».
Il risultato di tutto questo è una azienda agricola che zoppica e un’attività artigianale che, non potendosi sviluppare, rischia di non saper affrontare la concorrenza.

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