Il "no" ai profughi fa ancora discutere

Con il «no» di parte della popolazione all’arrivo di profughi all’ex convento dei frati francescani di Arsio non è stato solamente negato un atto di solidarietà nei confronti di chi fugge da guerre e miseria, ma affossata anche un’opportunità economica con ricadute locali. Ne è convinto l’ex assessore di Comunità di valle Stefano Graiff, che era stato promotore della proposta.

«Il progetto era stato strutturato più o meno a gennaio - conferma Graiff -. La richiesta era stata avanzata alla Cassa rurale Novella e Alta Anaunia, proprietaria dell’ex convento, vista la chiusura dell’esperienza di ospitalità di profughi all’ostello Madonna della neve di Castelfondo. Come Comunità di valle, assieme a Provincia, Cinformi e Cooperativa Lavoro ambiente, ci siamo mossi per rispondere alle esigenze di accoglienza di profughi, individuando l’ex convento e dialogando con la Cassa rurale che aveva dato subito grande disponibilità; prevedendo che per la gestione del centro sarebbero state impiegate persone locali, e che tutti gli acquisti necessari sarebbero stati effettuati presso aziende operanti in valle di Non. Veniva così garantita, oltre all’accoglienza, una ricaduta occupazionale ed economica sul territorio, che dati i tempi non avrebbe fatto male. Abbiamo atteso qualche mese per dare il via all’operazione - chiarisce Graiff - per evitare che un eventuale dibattito si trasformasse, dato il periodo di rinnovo delle amministrazioni comunali, in una battaglia elettorale».

Che si tratti di un’occasione persa lo pensa anche il presidente della Cassa Rurale, Alessandro Bertagnolli: «Il contratto prevedeva l’utilizzo della struttura a fini di accoglienza per sei mesi, prorogabile per altri sei, per dare ospitalità ad un numero compreso tra gli 80 ed i 100 profughi richiedenti asilo, con gestione curata dalla Cooperativa lavoro e ambiente. Ne avevamo discusso con l’allora assessore provinciale Donata Borgonovo Re, ragionando anche sul possibile futuro utilizzo della struttura, concordando che una destinazione possibile era quella a fini socio-sanitari. Era insomma nato un dialogo con Trento per il futuro di questo enorme complesso, ora vuoto e pressoché inutilizzato. Promotrice della proposta comunque era stata la Comunità di valle, e dopo la raccolta di firme da parte di persone che minacciavano di chiudere i propri conti presso i nostri sportelli, tutto si è fermato».

Già: erano stati 180 i soci o clienti della cassa, residenti nei comuni di Cloz e Brez - il convento sorge a metà strada fra i due centri - a firmare una petizione in cui veniva annunciata tale eventualità. Una mossa politica? Lo chiediamo a Natale Floretta, nuovo sindaco di Cloz, che notoriamente gravita in area Lega Nord (ne era rappresentante nell’assemblea della Comunità di valle). «Ufficialmente non ne so niente - afferma Floretta - Sono venuto a conoscenza di quanto avvenuto dall’articolo pubblicato sul giornale. Sono del tutto estraneo a quanto avvenuto, anzi sono caduto dalle nuvole. Mi sono interessato della cosa, ma non è che ne sappia granché».

Stando a quanto a quanto afferma il sindaco, la «sommossa» sarebbe pertanto nata spontaneamente, da un gruppo di cittadini, e tenuta pressoché nascosta a lungo, dato che sono trascorse parecchie settimane dal fattaccio.
Qualche dubbio rimane. La certezza è che i firmatari hanno detto no, anche se magari hanno tutti in famiglia degli avi o dei parenti emigrati, che come questi profughi cercavano una possibilità di vita all’estero. Al tempo stesso, negando lavoro per diverse persone e maggiori vendite a degli esercizi locali. Ora la Cassa rurale guarda altrove. A quanto pare verso Merano, dove potrebbe essere aperto un nuovo sportello, dopo quello già operativo (con ottimi risultati) a Lana. Qualche socio, sottovoce, dice: «Niente contro i profughi. Ma la Cassa dovrebbe discutere i progetti con i soci, non presentarli già confezionati».

Che tutto nasca da questo, è dubbio (basti pensare al generale silenzio dei soci in assemblea…), pur essendo comunque commento degno di nota.

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