Melinda caccia un dipendente infedele Vendeva le scorte elettriche su internet

di Andrea Bergamo

Di materiale elettrico, se ne intendeva. Tanto che per i potenziali acquirenti di cavi, prese e guaine questa era ovviamente una garanzia. Peccato che gli oggetti messi in vendita non fossero suoi, ma dell’azienda per la quale lavorava. Protagonista della vicenda, un dipendente del consorzio Melinda, che è stato denunciato alla stazione dei carabinieri di Cles. Il danno sarebbe ingente, calcolato in alcune decine di migliaia di euro.

Della vicenda, nessuna conferma arriva dal colosso delle mele della val di Non. Secondo alcune fonti, l’episodio sarebbe comunque stato esaminato direttamente dal consiglio di amministrazione dell’azienda. Nel mirino il responsabile della manutenzione degli impianti di una coop socia di Melinda, che rivendeva online il materiale acquistato per conto dell’azienda. Era lui stesso ad effettuare gli ordini, ma le fatture che nel corso dei mesi si facevano sempre più «pesanti» hanno insospettito il responsabile dello stabilimento. Che ha avviato i controlli e scoperto quanto stava succedendo. Tanto che ora sarebbe in corso la procedura di licenziamento.

Il dipendente infedele è peraltro una persona stimata e di esperienza, ed è dunque comprensibile lo stupore tra i colleghi dell’uomo. Un dipendente che lavorava per Melinda da oltre dieci anni ed era ritenuto un elemento di cui ci si poteva fidare. Una volta messo di fronte alle proprie responsabilità, l’uomo avrebbe ammesso ogni addebito. Secondo quanto sta emergendo dalle indagini degli inquirenti, a spingere l’uomo ad impossessarsi del materiale elettrico sarebbe stata la necessità di coprire le spese legate ad un investimento non andato a buon fine.

La scoperta di quanto stava accadendo risale all’inizio dell’estate. Le fatture riguardavano l’acquisto di materiale elettrico che potenzialmente poteva servire allo stabilimento (uno dei sedici che assieme formano il consorzio del bollino blu), ma di cui in realtà non c’era alcun bisogno. Per questo le verifiche hanno fatto emergere spese ritenute eccessive. Del materiale «di scorta» si impossessava direttamente chi effettuava quegli acquisti. Dapprima a sparire erano piccoli oggetti del valore di poche centinaia di euro, ma nel corso dei mesi gli importi si sono fatti sempre più consistenti, sintomo che il dipendente si sentiva evidentemente tranquillo, certo di farla franca. Così però non è stato, dato che il magazzino è stato messo sotto osservazione e il dipendente è stato pizzicato con le mani nella marmellata.

Quel materiale che doveva servire per la manutenzione degli impianti veniva recuperato dall’uomo che lo portava a casa propria. Quindi veniva rivenduto in tutta Italia attraverso i siti di e-commerce. Il guadagno frutto della vendita di prese e fascette doveva servire ad appianare i suoi debiti.

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