L'odissea del soldato internato

L’associazione Pro cultura- Centro studi nonesi ha presentato, nella serata di giovedì, «Quando finirà la nostra schiavitù», un epistolario di Tullio Calliari (1916-2003), internato nei campi di lavoro prima in Polonia, poi in Germania, dalla fine del 1943 fino al 1945. Hanno preso parte alla presentazione del volume i due figli di Calliari, ed un suo studente, il professor Alberto Conci. Con loro erano presenti anche due ex internati delle Giudicarie, ora novantenni, i quali hanno portato all’attenzione del folto pubblico la loro preziosa testimonianza. Dopo un’introduzione del contesto storico da parte della presidente – la drammatica situazione  dei circa 700.000 soldati italiani dopo l’8 settembre 1943, catturati dai tedeschi e spediti nei campi di prigionia (ne morirono 60.000 di stenti e di fatica) –  è stata puntualmente illustrata la vicenda umana e storica del soldato Calliari, addestratore di reclute a Merano, imprigionato prima ad Hammerstein (Polonia) poi trasferito a Lennep (Germania) fino alla liberazione del campo alla fine di marzo del 1945. I figli hanno casualmente scoperto questa raccolta di lettere ai famigliari, cartoline ed appunti, scritti dal padre durante l’internamento: due anni fa, in occasione del decimo anniversario dalla sua scomparsa hanno deciso di pubblicarle. In esse sono narrati con crudezza le terribili condizioni di vita all’interno di questi campi, la fame, la disperazione e la dolorosa incertezza sulla propria sorte, ma anche l’affetto per i propri cari, che dà forza per lottare. 

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Calliari racconta, in una lettera datata 1° giugno 1945 – ha fatto ritorno a casa nel mese di agosto  – quanto siano stati difficili i primi e gli ultimi mesi dell’internamento, «le battaglie della fame, delle ingiurie e delle percosse», la strenua lotta per la sopravvivenza. «I campi di sterminio di Dachau, Buchenwald e Belsen rimarranno nella memoria per le camere di gas, i crematori e le atrocità commesse» annota Calliari nell’ultima lettera del 22 luglio 1945. Negli anni successivi al conflitto, il soldato ha insegnato presso il liceo Prati di Trento, ed è stato nominato presidente della sezione trentina dell’Associazione nazionale ex internati. «Nostro padre è sempre stato piuttosto reticente a parlarci della propria esperienza. Lo faceva sempre in modo distaccato, senza troppi particolari - ha osservato la figlia Luisa - . Nonostante ciò, ci teneva che i ragazzi nelle scuole sapessero e prendessero coscienza di ciò che è accaduto». Il professor Conci ha infine messo in luce il valore della memoria, che sta nella volontà di ascolto, nel ricordo e nella trasmissione alle generazioni future. «Uno dei grandi problemi della Giornata della memoria è cosa, e soprattutto, come ricordare» ha concluso il docente.

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