Le mele si conservano nella grotta

di Guido Smadelli

«Solo poche parole. Oggi presentiamo una cosa unica al mondo, ne siamo orgogliosi». Il presidente di Melinda, Michele Odorizzi , non spende tempo, dinanzi alla folla di giornalisti cui porge il saluto, prima della presentazione delle prime celle di frigoconservazione realizzate da Melinda nelle gallerie scavate nella dolomia da Tassullo Spa, nella cava Rio Maggiore.

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Un esperimento che trae origine dalla proposta di un socio Melinda, Stefano Odorizzi , guarda caso amministratore delegato di Tassullo Spa.

In un'assemblea dei soci del 2010 viene annunciata la necessità di nuove celle per conservate le mele: Melinda aveva una produzione di 350 mila tonnellate, in prospettiva decennale era previsto un aumento di 50 mila. Ma manca il posto per conservarle: e i vertici Melinda si muovono per tempo - si tratta di investire circa 100 milioni di euro...

Il socio Stefano Odorizzi alza la mano: e propone di conservarle in galleria. Stupore, incredulità, perplessità, anche battute tipo lì le mele andranno a male. Ma Melinda guarda avanti: perché non verificare? Così contatta chi già in ipogeo ha lavorato: Corea e Norvegia. Viaggio a Trondheim e lì un superscienziato spiega cosa potrebbe significare, questa soluzione. Lo fa con una formula lunga una spanna, arabo per i comuni mortali. Tassullo e Malinda ci credono, in parte. C'è solo un modo per sapere se le ottimistiche previsioni dello scienziato siano vere: provare. Nel 2012 vien fatta la «celletta» sperimentale, 120 tonnellate, tanto per vedere.

A narrare questa storia, con grande abilità, è il direttore generale di Melinda, Luca Granata. Che aggiunge lo stupore della prima visita ai chilometri di gallerie scavate da Tassullo (ora sono 17: ma mica cunicoli. Buchi larghi 15 metri ed alti trenta...), e la delusione ad una prova. Per sperimantare se la roccia sia impermeabile al gas, come detto dallo scienziato norvegese, basta aumentare la pressione.

Lo si fa anche nelle celle «normali». «Proviamo, e la pressione cala, segno che l'aria esce. Si prova a dare una mano di intonaco isolante, ed il gas si disperde. Se ne dà un'altra, il manometro va giù». Granata sembra attore consumato, mima, narra, esprime delusione. Ma è un frigorista, a trovare l'inghippo. Quando lo si fa nel magazzino «normale» si schiacciano gli isolamenti, sotto la pressione. Qui, prova a schiacciare 200 metri di dolomia compatta più del cemento. L'unico luogo su cui la pressione poteva «scatenarsi» era la porta: l'aria usciva da lì, i cardini erano piegati.

«Qui tutto è diverso, bisogna ragionare in modo diverso», spiega Granata. Della bontà del progetto si ha ormai quasi certezza. Dopo la sperimentazione, si passa al progetto vero e proprio, con le prime 12 celle, 12 metri di lato per 11 di altezza, ognuna ospita 880 tonnellate di mele, 10 mila tonnellate in totale. «I dati definitivi, in termini di risparmio di energia, si hanno in 4 anni. Abbiamo già certezze sul fatto che si consumerà molto, molto meno. Il professorone norvegese ha detto il 60% in meno. Cominciamo a credere che possa essere vero».

Il primo lotto c'è. Il secondo lotto prevede 24 celle, che saranno costruite a fianco, il terzo altre 24, al «piano superiore», dato che lo stato di dolomia è alto 2-300 metri, e che dalla superficie a meleto mancano 275 metri. E sotto? A 70 metri un enorma bacino d'acqua fossile, lì da decenni, purissima. Chissà... «Siamo certi di aver fatto la scelta giusta», conclude Granata. «Costruire celle fuori terra significava consumare 27 mila metri cubi d'acqua l'anno in più.
E territorio, almeno 5 ettari. Produrre più CO2, dover utilizzare polimeri per le isolazioni. Questa è una soluzione all'insegna della vera sostenibilità. Col vantaggio che le gallerie producono dolomia per un'industria, ed i fori vengono utilizzati, bell'e pronti o quasi, da noi».

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