Comunità di valle, i Comuni attaccano la riforma Daldoss

Sindaci da riammettere nella «governance» delle Comunità, limite obbligatorio di 5.000 abitanti per le gestioni associate da ridurre a 3.000, più deroghe per i comuni che vanno a fusione, precisazione delle competenze da assegnare ai Comuni-Comunità che potranno nascere all'interno delle nuove «aree geografiche». Sono queste le principali modifiche al Ddl di riforma istituzionale, approvato dieci giorni fa dalla giunta provinciale, che il Consiglio delle Autonomie (nella foto, la sede) e i Comuni chiedono, praticamente senza eccezioni

di Giorgia Cardini

Sindaci da riammettere nella «governance» delle Comunità, limite obbligatorio di 5.000 abitanti per le gestioni associate da ridurre a 3.000, più deroghe per i comuni che vanno a fusione, precisazione delle competenze da assegnare ai Comuni-Comunità che potranno nascere all'interno delle nuove «aree geografiche». Sono queste le principali modifiche al Ddl di riforma istituzionale, approvato dieci giorni fa dalla giunta provinciale, che il Consiglio delle Autonomie e i Comuni chiedono, praticamente senza eccezioni.

 

L'assessore gli enti locali Carlo Daldoss ha affrontato il giudizio dei sindaci e dei presidenti di Comunità in due distinte riunioni che hanno portato a Trento circa 170 primi cittadini (presenti anche i consiglieri provinciali Mario Tonina, Gianpiero Passamani, Walter Kaswalder, Alessio Manica), tutti uniti nella protesta contro i tempi troppo stretti concessi loro per valutare la riforma.
Gestioni associate.  Troppo alto il limite dei 5.000 abitanti previsto per i futuri ambiti che dovranno gestire i servizi in forma associata, il Consiglio delle autonomie e i Comuni vogliono che sia portato almeno in via transitoria a 3.000, sia per i buoni risultati già sperimentati in questi anni sia perché in alcuni casi - secondo quanto detto ieri - sarebbe impossibile arrivare ad ambiti così popolosi senza stravolgere il principio della contiguità territoriale (ci sono valli come il Tesino dove tutti i comuni non arrivano a 5.000 abitanti). Per altro il Ddl prevede già possibilità di esonero dalle gestioni associate in questi casi, da concordare col Consiglio delle Autonomie.

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Fusioni.   Gli amministratori locali vogliono che la deroga alle gestioni obbligatorie, già prevista nel Ddl per i Comuni che avviano (entro la definizione degli ambiti per le gestioni associate) processi di fusione per arrivare a nuovi comuni superiori ai duemila abitanti, sia possibile anche per i Comuni che abbiano già varato progetti di fusione, pur restando sotto i duemila abitanti. Si punta insomma a premiare davvero le unificazioni e il processo di semplificazione del quadro amministrativo e politico inseguito dalla giunta provinciale.
I Comuni-Comunità.  Il Ddl prevede che all'interno della Comunità esistenti possano essere previste nuove «aree geografiche» e che se i Comuni di queste si fondono in un unico ente, questo assuma il ruolo di nuove Comunità. Su questo aspetto, sono stati mossi molti rilievi per il fatto che queste nuove Comunità non avrebbero la massa critica necessaria a gestire certe competenze, già ora complesse per Comunità molto popolose. Si è chiesto dunque di precisare le funzioni che potrebbero effettivamente svolgere e quelle da mantenere a livello di Comunità originaria.


I sindaci estromessi.  Una forte critica ha riguardato l'incompatibilità tra la carica di presidente e membro del nuovo consiglio esecutivo e sindaco, assessore, consigliere comunale. I sindaci poi, molti dei quali non faranno parte neppure del consiglio, non digeriscono di essere estromessi dal processo decisionale della Comunità, arrivando da un'esperienza opposta (oggi sono tutti rappresentati nelle assemblee e alcuni nelle giunte comunitarie). Dunque, si chiede che sia cancellata l'incompatibilità esistente anche perché, vista l'eliminazione dell'elezione diretta e la complicazione dei «grandi elettori», si teme uno scollamento definitivo tra Comunità e cittadini. Non solo: la richiesta del Consiglio delle autonomie è di assicurare a ogni Comune almeno un consigliere (ma questo riporterebbe ad assemblee pletoriche). Infine, è stata proposta la possibilità di dare un'indennità minima ai consiglieri comunali che entreranno nei nuovi consigli di Comunità, rilevando come sia sbagliato pretendere sempre la gratuità del loro impegno.

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