Il coraggio e la forza di Saula Susat: «Non pensavo che arrivasse a tanto, ora andrò avanti da sola»

Dal suo letto di ospedale parla la donna aggredita dal marito a Roveré della Luna

di Flavia Pedrini

Il dolore alla testa è molto forte e gli occhi talmente gonfi che Saula Susat non riesce nemmeno a tenerli aperti. «Devo aspettare che si riassorba l'ematoma», dice con un filo di voce. Il giorno dopo la brutale aggressione subita da parte del marito, la donna appare profondamente provata nel fisico. Il suo corpo è segnato dai colpi inflitti con un grosso pezzo di legno - porta una vistosa benda al capo e ha il volto tumefatto - e dalle ferite da taglio (su mani, gambe e addome). L'aggressione di venerdì mattina rimane avvolta nel buio. Anche il giorno dopo, come aveva raccontato subito dopo quei drammatici momenti ( l'Adige di ieri), la 43enne non sa ricostruire quello che le è capitato. Un blackout dovuto probabilmente allo shock e alle ferite. O forse un anestetico naturale dell'anima, per proteggersi da un'amara verità: l'uomo che aveva sposato, il padre di sua figlia, ha cercato di ucciderla, per poi lanciarsi con l'auto in una scarpata e farla finita.

«Non so cosa sia accaduto, non ricordo nulla - ripete sottovoce - non è per non dirlo, ma davvero non ricordo niente. Mi hanno detto che mi ha picchiata con un pezzo di legno, ma io non ricordo nemmeno di avere sentito il colpo alla testa. So di avere tagli alle mani, ferite da difesa mi hanno detto, e anche alle gambe e all'addome». La «luce» su quel giorno si riaccende con un rumore, quello dei vetri rotti dai carabinieri di Roverè della Luna per entrare in casa. Ad allertarli i colleghi del radiomobile di Cles e di Cogolo, che nell'auto di Giorgio Tomasi avevano trovato il biglietto per la figlia: «Scusami se ho ucciso la mamma».

Saula non ricorda, ma ora conosce la verità: già venerdì i familiari le hanno spiegato che a ridurla in quello stato era stato suo marito. Fino a ieri, invece, la donna ignorava che dopo averla colpita e creduta morta l'uomo avesse tentato di togliersi la vita. Ieri, con delicatezza, le hanno spiegato che anche Giorgio si trova in ospedale. «So che è ricoverato nel reparto di rianimazione», dice Saula. Proprio venerdì lei e Giorgio avrebbero dovuto compiere i primi passi per definire la separazione. «Ieri (venerdì ndr) dovevamo andare insieme dall'avvocato. Ci stavamo separando», spiega la donna. 

E quell'appuntamento, il «tassello» di un percorso destinato a portare alla fine del suo matrimonio, apparso a quel punto come un epilogo ineluttabile, potrebbe avere fatto da detonatore alla violenza. Eppure, chi conosce Giorgio Tomasi, ne parla come di una persona tranquilla. Un uomo schivo e riservato, ma certo non un violento. Anche tra i parenti l'aggressione di venerdì mattina è apparsa come un fatto inspiegabile quanto inatteso. Sapevano che la coppia stava attraversando un momento difficile e che si sarebbe separata (una settimana fa Giorgio e Saula lo avevano detto ai parenti), ma non immaginavano che l'amarezza di Giorgio per quella decisione potesse sfociare in un pestaggio. 

Quando si chiede a Saula Susat - che con lui ha vissuto fianco a fianco per anni - se suo marito fosse come tutti lo descrivono, lei risponde con franchezza: «Era tranquillo, ma alternava momenti di grande rabbia. Ma sempre gestibili». In passato, tuttavia, non ci sarebbero stati campanelli di allarme per una simile esplosione di violenza. Saula, infatti, fa cenno di no con la testa quando le si chiede se potesse immaginare un fatto del genere. Nelle sue parole non si colgono mai rancore o rabbia verso l'uomo che le ha fatto del male. Ma certo, ora, la donna appare determinata a riprendersi la sua vita e convinta che quella della separazione fosse la scelta giusta da compiere: «Ora voglio andare avanti da sola», ribadisce. Ferita nel corpo, ma forte nello spirito.

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