Sarche, cementificio dimezzato

«Lo spegnimento del forno del cementificio di Sarche doveva essere solo temporaneo, se adesso l’intenzione di Italcementi è di renderlo definitivo dovranno vedersela con noi». Maurizio Zabbeni (Cgil), Gianni Tomasi (Uil) e  Stefano Pisetta (Cisl), affilano le armi in vista di un incontro urgente chiesto alla direzione del gruppo, e dell’assemblea dei lavoratori già convocata dalle tre sigle provinciali per venerdì 23.

La volontà di trasformare anche il cementificio di Sarche in un centro di macinazione (come già avvenuto per altri stabilimenti in Italia) è stata annunciata in un incontro con i sindacati nazionali a Roma e, dicono i tre segretari trentini, «ci ha colto impreparati».  In tutti i recenti incontri avuti con i vertici aziendali, infatti erano state date ben altre assicurazioni. «Si è sempre detto che quello di Sarche era un centro strategico che andava valorizzato, e per diversi motivi - continuano i sindacalisti -, tra cui una serie di intenti espressi dalla Provincia per l’utilizzo del Css (combustibile secondario fossile ottenibile dal rifiuto residuo) nell’impianto di Sarche, ma anche per farne un centro di ricerca ed innovazione di prodotto (cemento a minor impatto ambientale)». Per quasi un anno è stato sperimentato anche l’utilizzo, come combustibile, di fanghi biologici essiccati non pericolosi, realizzando un risparmio, con l’amministrazione di Calavino che ha avuto seri problemi a mantenere calma la popolazione. Poi non si è bruciato più nulla, ma ancora si pensava ad una sospensione temporanea per la normale manutenzione del forno.

Adesso l’annunciata trasformazione dello stabilimento in centro di macinazione del clinker prodotto altrove è una mazzata per i 53 lavoratori di Sarche, attualmente in cassa integrazione a rotazione: il dimezzamento dell’attività, infatti, ne lascerebbe a casa la metà. Purtroppo i timori dei sindacati per la mancanza di garanzie sul mantenimento dei livelli occupazionali dopo la cessione da parte di Italcementi del 45% del gruppo ai tedeschi di Heidelberg starebbero per diventare realtà. E a fronte di una decisione che sarebbe già stata presa, anche gli spazi di manovra si riducono. «Intanto vediamo se nell’incontro di Bergamo verrà confermata l’intenzione di spegnere i forni - azzardano -, e poi sarà l’assemblea dei lavoratori a decidere eventuali azioni di protesta».

Ma anche a livello sindacale le armi sembrano spuntate. «Ormai le dinamiche sono mondiali - ammette Zabbeni - e l’Italia non è luogo dove nasceranno nuovi cementifici, ma dove si chiudono: c’è spazio solo per i grandi gruppi con grossi stabilimenti, ma senza una distribuzione capillare».  
E gli intenti provinciali? «È necessario riaprire subito la discussione sul radicamento dello stabilimento sul territorio - insistono i sindacalisti trentini -, ripartendo dalle ipotesi già avanzate in passato, tra cui quella di portare a Calavino l’attività di smaltimento dei fanghi».
Martedì prossimo, intanto, saranno le maestranze a riunirsi in assemblea: il rappresentante di fabbrica, presente all’incontro romano, riferirà dei piani di riorganizzazione annunciati dal gruppo e che dovrebbero concludersi nel 2017. Ma per cinquanta famiglie comincia un calvario: infatti potrebbero essere decisi degli spostamenti a Bergamo, e l’alternativa è la messa in mobilità. Ma non sono solo le maestranze, c’è tutto un indotto che dà lavoro a 120 - 130 persone (trasporto di materie prime e materiale finito), senza contare che il cementificio di Sarche è l’unica fabbrica ancora attiva in Valle dei Laghi.

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