Addio Coronavirus dopo 102 giorni in casa

di Matilde Armani

Ne sono usciti vivi, ma hanno pagato con 102 giorni di "lockdown". Dopo una tempesta che sembrava non cessare, solo domenica 7 giugno hanno visto l’arcobaleno. È la storia della famiglia Cadenelli Zontini residente a Bersone, frazione del comune di Valdaone. I nonni Ivan e Clementina, papà Eros Cadenelli, mamma Sara Zontini, i due figli Giada di 14 anni e Nicholas di 9 possono ufficialmente dichiarare di aver vinto, dopo 74 giorni, la battaglia contro il coronavirus.

«Tutto ebbe inizio - spiega Sara - il 24 marzo, rientrando dal lavoro dall’Apsp di Condino, cominciai ad avvertire i primi sintomi: vomito, diarrea, febbre, congiuntivite, dolori, stanchezza e una tosse che non mi dava tregua. Mi misero subito in isolamento e venni ritenuta positiva senza fare il tampone. Per la mia famiglia iniziò la quarantena. Il 5 aprile arrivò il mio primo tampone positivo, fatto al pronto soccorso di Tione. Lo stesso avvenne due giorni più tardi a mio papà che, come mia mamma, aveva da qualche giorno la febbre ed avvertiva difficoltà respiratorie. Il 9 aprile venne ricoverato all’ospedale di Rovereto, dove ci rimase per una settimana. Iniziai ad andare in crisi perché non sapevo quando e se fosse ritornato. La febbre alta e i forti dolori non risparmiarono nemmeno mio marito, che per fortuna se la cavò in un paio di giorni e che, come mia figlia, è sempre risultato negativo ai tamponi. Purtroppo il primo maggio ci venne comunicato che anche nel piccolo Nicholas era rilevabile la presenza del virus».

«Una notizia sconvolgente - prosegue - per il mio bambino dato che era costretto a rimanere a casa ancora dal 26 febbraio perché aveva la parotite. Ha vissuto 102 giorni tutt’altro che facili: era sempre pallido, con occhiaie scure, prurito, mani screpolate e la gengivite. È stata dura, volevamo stare insieme ma non pensavamo ci volesse tanto tempo per uscirne. Dovevo farmi vedere forte quando Nicholas si demoralizzava, così piangevo di nascosto».

Quanti tamponi vi vennero fatti? «In totale 19 di cui 8 a Nicholas. È sempre stato bravo, all’inizio naturalmente un po’ di paura c’era ma la gentilezza del personale sanitario lo tranquillizzava. Arrivati a casa, continuava a guardare dal mio cellulare se il referto era disponibile su Fast Trec, finché non c’era l’esito non riusciva a dormire la notte».

È proprio la voce di Nicholas a farci entrare in quelle difficili giornate: «Facevo i compiti che mandavano su Whatsapp poi con degli scatoloni ho costruito una casetta, ho avuto l’idea di fare una carrucola per la spesa che arrivava alla porta di casa dei miei nonni. Stavo tanto sul poggiolo, giocavo a palla e la sera pregavamo insieme». E aggiunge: «Mi annoiavo tanto. Mi mancavano i nonni, i miei amici che sentivo giocare fuori, la libertà, la mia bici, il mio monte a Boniprati». Cosa hai fatto quando hai visto che eri guarito? «Ho fatto i salti di gioia, ho abbracciato la mamma, il papà e mia sorella. Ho chiamato i nonni con il citofono per dirglielo».

Guardando oggi a tutta questa storia la primogenita Giada prova a fare un bilancio: «È stato difficile. Rimangono un po’ di nervoso e la paura di riprenderlo. Il brutto lo abbiamo passato, speriamo in bene. Sicuramente abbiamo imparato ad apprezzare le piccole cose». Infine, concludono: «Ringraziamo i dottori Riccardo e Mario Romanelli, la pediatra Veronica Grassi, il personale del Distretto Sanitario di Tione e le Infermiere del Territorio. Un pensiero va anche ai parenti e amici che ci hanno sostenuto e aiutato. Non ne potevamo più, finalmente tutto è alle spalle, la vita può ripartire, sperando che la gente non cambi modo di vederci e di volerci bene».

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