Vandali sui cartelli educativi dei ragazzi dell'Oratorio di Storo «Gulag» sopra «Arbeit macht frei»

di Giuliano Beltrami

Smarrimento. E’ quello provato dai ragazzi dell’oratorio di Storo di fronte al gesto che li ha presi di mira in questi giorni. Quella parola “Gulag” sul cartello che avevano affisso in paese è stata vissuta come un atto di violenza.
Per anni ci siamo cullati nella convinzione che le ideologie fossero finite: evidentemente non è così. Ma partiamo dall’inizio.
Il Gruppo Adolescenti dell’oratorio di Storo si trova settimanalmente per discutere attorno ai problemi del mondo giovanile e della società: sono parecchie decine fra ragazzini e assistenti, sempre giovani che aiutano la riflessione. Nell’ambito del Piano giovani della valle del Chiese nel 2019 il Gruppo ha realizzato un progetto sul razzismo, culminato con un weekend in visita a Dachau, il campo di concentramento nazista nei pressi di Monaco di Baviera.
Recentemente il progetto è stato completato con l’affissione di quattro pannelli: due a Storo, uno a Darzo e uno a Lodrone. A Storo, all’incrocio fra la via principale e la strada della scuola media, il cartello porta la scritta che campeggiava all’ingresso dei lager: “Arbeit macht frei”, il motto orribilmente cinico se piazzato all’ingresso di un lager, visto che significa “Il lavoro rende liberi”.
“Sabato 28 dicembre - raccontano i ragazzi in un comunicato - è apparsa la scritta «gulag» sull’installazione realizzata nell’ambito del progetto Scolpire nel cuore - Passo dopo passo per un futuro più libero. Altri atti vandalici erano avvenuti nei giorni precedenti e pertanto era stata aggiunta una descrizione esplicativa per chiarire il fine apolitico del cartello, volto a contrastare ogni forma di privazione delle libertà.
Nonostante il nostro grande rammarico abbiamo comunque deciso di esporre nuovamente la medesima installazione perché crediamo fermamente nell’obiettivo di questo progetto e desideriamo eliminare sentimenti di divisione e giudizio, come può essere ogni discriminazione razziale”.
A rincuorare i ragazzi è arrivata la dichiarazione del Tavolo (organo di riferimento) del Piano Giovani della valle del Chiese, nelle persone dei referenti politico (Matteo Zanetti) e tecnico, che hanno espresso “il rammarico, la solidarietà e l’adesione alle finalità del progetto”.
Qualche anonimo difensore della libertà (ci sia concessa l’ironia) evidentemente si è offeso perché la scritta riguardava solo i lager nazisti e non toccava i gulag comunisti. Peraltro nel perfetto stile italiano, per cui non ci può essere una “Giornata della memoria” per commemorare le vittime di tutte le dittature: se si commemora la “Shoah” ci vuole anche la “Giornata delle foibe”, e via dividendo.
I ragazzi dell’oratorio storese si sono trovati davanti ad un bivio: gettare la spugna o difendere la scelta. Hanno optato per la seconda strada, mettendo una spiegazione accanto all’installazione violata. “Arbeit macht frei, ossia “Il lavoro rende liberi” era il motto posto all’ingresso di numerosi campi di concentramento prima e durante la Seconda Guerra Mondiale. La scritta rappresenta le menzogne dei lager nei quali le condizioni disumane, i lavori forzati, le condizioni di privazione e solitamente il destino finale di morte dei prigionieri mostravano il significato opposto del motto stesso. E’ proprio questa la ragione per cui mettiamo una X su questa scritta: perché speriamo che queste beffe di poco gusto non vengano riproposte in futuro”. Firmato “Gruppo Adolescenti Storo”.

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