Cacciatori e volontari a girar zolle per riparare i danni dei cinghiali

A Tremalzo in azione con la fresatrice, sistemato l'85% dei pascoli che erano stati danneggiati

di Paola Malcotti

Il livellamento del terreno smosso, la sistemazione delle buche e la frantumazione delle zolle, per permettere così il veloce recupero del manto erboso flagellato dall’attività di rooting dei cinghiali.

È stato un intervento ambientale unico nel suo genere quello effettuato nel mese di maggio da una decina di volontari ledrensi e di tecnici dell’Associazione cacciatori trentini sui pascoli di Tremalzo con l’intento di ripristinare i danni causati dai suidi ai prati in quota e favorire il riscatto dell’alpeggio.

Nel giro di alcune ore e con l’ausilio di una fresatrice di una ditta specializzata, i volontari hanno dunque provveduto a mettere a punto i lavori concordati nei mesi scorsi con l’amministrazione comunale per tentare di arginare la rovinosa attività di movimentazione del terreno effettuata dai cinghiali.

«Si è trattato di un intervento superficiale, non invasivo, e quindi innocuo per i preziosi endemismi della zona - spiega Michele Rocca, tecnico del distretto venatorio che comprende la Valle del Chiese, le Giudicarie, Ledro e Rendena - una prima sperimentazione realizzata nella nostra provincia volta a favorire una più veloce ripresa vegetativa del manto erboso dei pascoli rovinati, che nel giro di una giornata ha portato al ripristino dell’80-85% del danno. Nella zona antistante la ex “Tavola calda” è stato poi creato un sito di confronto tecnico-ambientale fra una porzione ripristinata ed una lasciata integra (con il danno originale da cinghiale), con lo scopo di verificare le modalità quali-quantitative di ripresa delle due tipologie di pascolo: in base ai risultati, nei prossimi mesi potremo valutare eventuali nuovi interventi in altre zone di Tremalzo».

Nel frattempo però, nessuno stop alle sessioni di abbattimento straordinario per il contenimento della specie, come già pianificato in collaborazione con l’assessorato provinciale, che ha finora portato alla soppressione di alcune decine di esemplari (27 nel 2015, 9 da gennaio ad oggi).
«Bisogna tuttavia mettersi nell’ordine delle idee che in ogni caso l’attività dei cinghiali non potrà mai essere completamente circoscritta - conclude Rocca - e che è impossibile anche solo stimare il numero di capi presenti sui monti ledrensi: nonostante gli interventi di contenimento e controllo della specie, e di ripristino ambientale da noi effettuati, l’unica soluzione potrebbe essere solo il ritorno in zona di predatori naturali, come lupo e lince».

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