Jumper morti sul Brento «Uccisi dall'imprudenza»

Due "fatality" in otto giorni al Brento e la lista dei Base Jumper che pagano con la vita il tributo al loro sport si allunga. Vietare, come dice il capo del soccorso alpino Gianluca Tognoni, «non serve a nulla». Vietare, dice Maurizio Di Palma, oltre tremila salti di base ovunque nel mondo, non porterà ad alcuna soluzione. Sono d'accordo su tutta la linea i due sportivi che predicano da anni la regolamentazione

di Claudio Chiarani

brento becco aquila base jumperALTO GARDA - Due "fatality" in otto giorni al Brento e la lista dei Base Jumper che pagano con la vita il tributo al loro sport si allunga. Vietare, come dice il capo del soccorso alpino Gianluca Tognoni, «non serve a nulla». Vietare, dice Maurizio Di Palma, oltre tremila salti di base ovunque nel mondo, non porterà ad alcuna soluzione. Sono d'accordo su tutta la linea i due sportivi che predicano da anni la regolamentazione.
Regolamentare è la soluzione come l'onorevole Mauro Ottobre va dicendo da almeno due anni, da quando ha una proposta di legge (inascoltata) che portò prima in consiglio provinciale e ora alla Camera. La domanda a Maurizio Di Palma la facciamo a Ortisei, dove in una tre giorni dedicata al volo è andato tutto bene. Salvo la notizia sabato sera dell'incidente al Brento.
 Regolamentare ma come? 
«Non è certo semplice - risponde - perché ci sono tante informazioni e regole fatte da chi il Base Jump lo pratica da anni. Sono ovunque e al Brento impresse nella roccia. Il problema è che non sono rispettate. Parliamo del fatale della settimana scorsa: la jumper russa è stata avvisata via telefono da chi era atterrato che le condizioni erano negative. Lei ha saltato egualmente fuori dalle regole. Dunque rispetto».
 L'ultimo lancio mortale? 
«Parlando con chi era al Brento l'idea è che si sia trattato di un grossissimo errore umano di valutazione. Ha saltato, ha perso molta quota tenendo una linea di volo prossima alla parete alla sua sinistra, si è trovato basso sulla parte finale delle placche zebrate, non è riuscito a guadagnare quota per aprire in sicurezza e quindi era troppo basso. Aprendo la vela ha impattato contro la parete».
 Crescono i numeri dei praticanti e di conseguenza aumentano gli incidenti. 
«E' statistica, ovvio. Aumentano i praticanti e gli incidenti, ma ciò è dovuto anche al fatto che ora si arriva all'exit point ( al punto del salto, ndr, il Becco dell'Aquila)  senza fatica. C'è un servizio navetta che ti porta a pochi minuti, e allora tutti vogliono venire qui a saltare. Non si sale più a piedi al Becco da San Giovanni, come la "vecchia scuola" insegna, ora in un quarto d'ora a piedi sei arrivato.
Questo, ad esempio, era un fattore che "scremava" il numero di salti. E' diventata una sorta di giostra, tutto facile e senza fatica, come aver una funivia e lassù trovi di tutto, dall'esperto all'inesperto che vuole saltare lo stesso e poi si fa male se va bene».
 Parliamo dei soccorsi: in Trentino arriva la chiamata e l'elicottero decolla. Gli stranieri pare siano tutti o quasi assicurati, la maggioranza degli italiani sembra di no. Poi ci sono i falsi allarme come recentemente successo. Cosa si potrebbe fare anche sull'esempio della Svizzera? 
«Molto. Mi auguro che gli stranieri siano coperti da assicurazione per pagare le spese del soccorso, i contribuenti non devono sopperire alla nostra passione. Le "false" chiamate sono deleterie, è successo circa un mese fa. Dei jumper russi sono atterrati fuori piazzola alla base della parete, dei francesi li hanno visti scomparire dietro gli alberi e hanno chiamato il 118 che è rimasto in zona per quaranta minuti, questa volta sì a spese dei contribuenti.
Serve una persona a terra, serve un supporto radio, una o due persone che si coordinino tra di loro e coordinino i salti, bloccando se necessario quando arriva l'elisoccorso o quando le condizioni sono contrarie. Poi serve soprattutto il buon senso. Io quando sono lì salto quasi sempre per ultimo, mi accerto che chi ha saltato sia atterrato, dò i tempi per i salti, fermo se serve perché se uno si sporge per vedere o filmare e cade un sasso sull'elicottero si ammazzano sei persone. Purtroppo c'è chi capisce e chi no, ecco perché serve una Legge e un regolamento».
 L'onorevole Ottobre ne ha pronta una da due anni. 
«Una cosa buona, buonissima. Lui ci aveva interpellato, parlato, chiesto, fatto. Mi auguro che ora si possa procedere ad ascoltarlo, perché se non ci ascolta la politica sarà, se non lo è, tardi. Sarebbe un passo fondamentale, concreto, di aiuto a tutti».
 La Svizzera dicevamo? 
 «Sì, li arrivi nella valle dove si salta, si paga una quota sui 70 euro, ricevi una card che vale un anno e ti da diritto al recupero gratuito in caso d'incidente. Poi gli atterraggi: i contadini proprietari dei fondi, stufi di vedersi il fieno calpestato hanno deciso di creare della zone d'atterraggio apposite. Paghi circa 30 euro, ricevi una mappa con le necessarie indicazioni e per un anno sei a posto».
 Il Base Jump è uno sport estremo Di Palma, cosa bisogna spiegare alla gente? 
«Il Base è potenzialmente pericoloso, come tanti altri. Alpinismo o altre attività outdoor, ma se si pratica correttamente il rischio rimane in una finestra tollerabile. Io sono 18 anni che faccio paracadutismo, e da 13 sono passato al base Jump, ho più di tremila salti di Base e oltre mille dal Brento senza rompermi un'unghia. Non credo sia solo fortuna, perché ho sempre cercato di tenere dei margini di sicurezza attivi.
E' ovvio che una base jumper che muore fa più notizia di un motociclista o di un alpinista, perché l'opinione pubblica ormai questI incidenti li ha metabolizzati. 15 morti in vent'anni dal primo salto, e su migliaia di salti da questa parete all'anno sono veramente limitate. Anche perché parliamo di errori umani, evitabili in tanti casi accaduti solo usando la testa e il buon senso». 

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