Vittoria Piani, da bimba modella a martello scatenato

di Laura Galassi

Dalla mamma brasiliana ha preso la voglia di viaggiare, la passione per il ballo e il difetto di essere disordinata; dal papà milanese doc, invece, una certa freddezza e la timidezza. Ad accomunare Vittorio e Malù, genitori di Vittoria Piani, opposto classe 1998 della Delta Informatica, c'è però la passione per lo sport e la competitività, caratteristiche che la giocatrice sta dimostrando di possedere alla grande alla Trentino Rosa.

Approdata a Trento dopo quattro stagioni in A1, prima con il Club Italia e poi con Busto Arsizio - dove l'anno scorso ha vinto anche la Coppa Cev e dove domani giocherà la finale di Coppa Italia -, il giovane martello ha voluto mettere il suo braccio pesante al servizio della Delta Informatica Trentino in A2 per poter indossare una maglia da titolare e mostrare a pieno le sue doti. I 330 punti a referto finora hanno dato ragione alla sua scelta. Oltre alla fama di società seria, Vittoria è stata più che felice di ritrovare nella sua metà campo l'amica d'infanzia Giulia Melli. «Siamo come sorelle», dice la giocatrice, «abbiamo cominciato a giocare insieme e non ci siamo più staccate. Avevo firmato per Trento prima di lei; quando ho saputo che poteva essere tra noi, ammetto di averla convinta un po' ad accettare».

Il loro rapporto è così profondo da condividere lo stesso tatuaggio, la data 16/8/2015 in numeri romani, a ricordare la finale dei Mondiali in Perù vinta assieme sotto la guida di mister Mencarelli. Abituata fin da piccola a girare il mondo, non sente troppo la nostalgia di casa - Ispra, sul lago Maggiore - anche perché la mamma è quasi sempre sugli spalti di Sanbapolis, impegnata in un tifo scatenato che a volte fa arrossire Vittoria.
Che rapporto ha con sua madre? «Direi splendido. È una donna straordinaria: ora fa l'artista, dipinge e fa sculture, ma è stata modella e atleta nei 1500 metri. È arrivata in Italia 30 anni fa e mi ha chiamata Vittoria perché per lei, straniera, la mia nascita ha rappresentato una grande conquista. Il mio secondo nome, Alice, da pronunciare alla portoghese, è invece un omaggio alla nonna brasiliana».

Dalla mamma ha ereditato anche la bellezza. Ha mai pensato di lavorare anche lei nella moda? «A 7 anni ho fatto un casting per la copertina di Barbie - mi vergogno tantissimo - e a 4 sono finita su Vogue, ma non ho mai voluto farlo di lavoro, perché è un mondo difficile, come mi ha confermato la mamma. E poi io sono veramente una buona forchetta, non saprei mai sottopormi a una dieta».

Torna spesso in Sudamerica? «Quando ero piccola, ogni anno volavamo a San Paolo. Ricordo molte feste, persone sempre gioiose e tanta musica. Ora però è diventata una città pericolosa e i miei parenti si sono trasferiti a Salvador de Bahia. Fino alla quarta elementare trascorrevo metà anno sull'isola di Tobago, nei Caraibi, perché avevamo una casa lì. Era davvero un paradiso. I viaggi sono nel mio Dna. Anche per questo non riesco ad immaginarmi incatenata a una scrivania per otto ore al giorno: nel mio futuro mi vedo sempre in movimento, con lo zaino in spalla».
Come ha cominciato con la pallavolo? «In realtà sono nata sui campi da golf, passione dei miei genitori, e poi ho provato tennis, nuoto e anche ping pong. A 8 anni ho tentato con il volley e non l'ho più abbandonato, perché amo gli sport di squadra e mi piace vincere. Ho debuttato in B1 nel 2013 e nel 2016 ho avuto un bruttissimo infortuno alla caviglia, proprio nel mio momento migliore. Per cinque mesi sono rimasta in stampelle e recuperare è stata dura, pensavo di dover smettere e abbandonare la mia passione più grande. Invece mi sono ripresa: tutti i miei tatuaggi li ho fatti in quel periodo».

Come si trova a Trento? «Benissimo con le compagne e la società. Conoscevo gli obiettivi della stagione e sono contenta di contribuire. Pensavo di approdare in una città universitaria, invece a mezzanotte è tutto chiuso: per i giovani c'è poco da fare quindi appena posso torno a Milano, dove c'è decisamente più vita».

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