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Un altro trentino in serie A: il portiere Chiesa, 21 anni, da domenica nell’Hellas Verona (dove c’è già Depaoli di Sopramonte)

Dopo l’esperienza al Calcio Trento, per il giovane roveretano l’esordio in panchina: «Uno di quei treni che passano una volta nella vita, dovevo prenderlo»

di Luca Avancini

VERONA. C'è sempre Verona nel destino calcistico del trentino Mattia Chiesa.. Alla città scaligera sono legati i trascorsi giovanili con Chievo ed Hellas, ma anche il momento più bello e intenso della sua breve esperienza con la maglia del Trento, su un palcoscenico minore, ma non meno importante come il piccolo rettangolo del Gavagnin. Lì, con le sue parate, il 21enne roveretano aveva provveduto lo scorso novembre a puntellare la panchina traballante di Parlato, difendere il prezioso gol di Nunes, ricacciando fuori i compagni dal tunnel in cui si erano infilati dopo quattro ko consecutivi.

Una prestazione da otto pieno in pagella servita per strappare tre punti fondamentali, a una formazione, la Virtus, rimasta accampata, armi e bagagli, per quasi novanta minuti nella tre quarti trentina.

Domenica scorsa, il suo ritorno a Verona, è coinciso con la prima panchina in serie A nella gara persa dall'Hellas con la Salernitana. Non era la prima volta che Chiesa si accomodava a bordo campo al Bentegodi, era già capitato più volte con i gialloblù in B nella stagione 2018 e 2019, dopo anni trascorsi dietro la porta come raccattapalle del Chievo, sempre e solo alle spalle del suo idolo Sorrentino: «Stavo e lì e guardavo. Guardavo e imparavo, cercando di assimilare ogni suo gesto, ogni movimento», la confidenza.

Sensazioni - Certo respirare l'aria della serie A «fa tutto un altro effetto», come ammette lui stesso. «Ho provato sensazioni nuove, diverse da tutte quelle avvertite finora - racconta Chiesa -. Sensazioni belle e appaganti, perché premiano i tanti sacrifici fatti per arrivare sin qui.È mancata solo la soddisfazione della vittoria.

«Sarebbe stata la classica ciliegina sulla torta - sorride -, la Salernitana ha saputo sfruttare meglio gli episodi, vedi il rigore e la punizione, calciata davvero bene. Noi ci siamo espressi meglio sul piano del gioco, ma a questi livelli spesso sono i particolari a fare la differenza»

Il trasferimento all'Hellas è stato improvviso, repentino. «È uno di quei treni che passano una sola volta nella vita, non potevo e non volevo farmelo sfuggire. Ho lasciato Trento a malincuore, ormai la sentivo come casa mia. Mi trovavo non bene, di più. Posso solo ringraziare presidente, direttore e società che hanno capito l'importanza del momento per la mia carriera, e mi hanno aiutato a velocizzare le pratiche del trasferimento».

Presenza - Dopo l'arrivo di Marchegiani, gli spazi nella squadra di Parlato si erano decisamente ridotti: «Bisogna essere onesti e riconoscere che l'arrivo del portiere d'esperienza era già nell'aria da tempo. Non mi ha sorpreso. In fondo è come se fosse sempre stato lì con noi. Gabriele (Marchegiani, n.d.r.) in ogni caso si è rivelato un ragazzo d'oro, sempre pronto alla battuta, a scherzare quando è il momento, ma anche a lavorare duro quando serve. Con lui non ci sono mai stati problemi».

Di sicuro c'è stato bisogno di calarsi in fretta nella nuova realtà. «Mi sono presentato a Verona per l'allenamento di rifinitura del sabato - rivela -. Fortunatamente conoscevo l'ambiente e diverse persone dello staff, l'impatto è stato positivo e non è stato difficile inserirsi nel gruppo. Ero un po' emozionato, ma tutti mi hanno accolto molto bene, Tudor ha cercato di mettermi subito a mio agio, mi ha stimolato e incoraggiato, diciamo che ha fatto sentire la sua presenza».

Quella al Trento è stata una parentesi breve, ma tutto sommato positiva: «Assolutamente sì, alla squadra ho augurato il meglio per la seconda parte di stagione, se lo merita. Il primo risultato che guarderò la domenica sarà proprio quello del Trento».

Con la maglia del Verona, dopo aver esordito nella vittoriosa trasferta a La Spezia, ha debuttato al Bentegodi domenica un altro trentino, Fabio Depaoli, esterno classe 1997 di Sopramonte (già 115 presenze in A), appena arrivato dalla Sampdoria. «Ci eravamo conosciuti ai tempi del Chievo, quando facevamo spesso il viaggio insieme sino a Verona. Poi per forza di cose ci siamo persi di vista, è stato bello ritrovarsi».

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