Atletica / Il caso

Alex Schwazer: "Ho dato tutto per allenarmi, ma sapevo che difficilmente avrebbero sospeso la squalifica"

Il marciatore altoatesino commenta il diniego del tribunale svizzero che gli impedisce di partecipare alle Olimpiadi, malgrado l'assoluzione in sede penale. L'allenatore Donati: "È un dramma per lo sport, l'ultima beffa da un sistema autoreferenziale"
AL FESTIVAL Schwazer a Sanremo: «Chi mi ridarà la vita che ho perso in questi anni?»

TRENTO. "Non c'è nessun tipo di rabbia o frustrazione da parte mia sulla decisione del tribunale svizzero che non mi ha concesso la sospensione temporanea della mia squalifica".

In una dichiarazione data all'agenzia Ansa attraverso la sua manager Giulia Mancini, Alex Schwazer racconta il suo stato d'animo dopo il diniego della la Corte federale svizzera sulla sospensione squalifica del marciatore altoatesino, che così perde ogni speranza di partecipare alle Olimpiadi di Tokyo.

"Avevamo solo questa possibilità visti tempi stretti e non ho nessun tipo di rimpianto.

Dopo l'assoluzione a livello penale ho dato tutto quello che potevo dare in allenamento negli ultimi mesi, pur sapendo che sarebbe stato difficile che venisse sospesa la mia squalifica. Ringrazio tutti coloro che mi hanno sostenuto", conclude il marciatore.

Non c'è più niente da fare, "da oggi Alex farà la persona qualunque e il papà", sono state le parole del suo tecnico Sandro Donati dopo che anche la Corte federale svizzera, presieduta dal giudice Kiss, ha respinto la domanda di sospensione della squalifica del marciatore altoatesino scagionato tre mesi fa dal gip di Bolzano per le accuse di doping.

Ma il punto è che rimane sempre colpevole per la federazione internazionale di atletica e per la Wada e poi 'bocciato' anche dal Tribunale di arbitrato dello sport di Losanna.

Ora, teoricamente, Schwazer potrebbe rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell'uomo, ma i tempi sono lunghissimi e per lui sarebbe comunque impossibile partecipare a quell'ultima Olimpiade in cui sognava di essere in gara.

Secondo Donati, questo "è un dramma per lo sport" e anche "l'ultima beffa, vista la modalità con cui abbiamo saputo della sentenza: uno dei suoi più costanti aggressori, una persona che mi odia e che è stato il regista di tutta l'operazione, l'ha comunicata a un indirizzario nel primo pomeriggio e poi qualcuno l'ha detto a me". Amareggiato anche l'avvocato dell'olimpionico di Pechino, Gerhard Brandstaetter.

"Alex ormai ha 36 anni e in questi anni si è fatto le ossa. Si è definitivamente reso conto che esiste un mondo chiuso che è compatto contro di lui".

 È quello che Donati definisce "un sistema autoreferenziale, di cui la corte federale è il terminale di questo stesso sistema a Losanna, fatto di consuetudini e contatti. La decisione di controllare Schwazer l'hanno presa, a suo tempo, un'ora dopo che lui aveva deposto contro dei medici, uno dei quali della federazione internazionale". Ma è tutto inutile.

L'avvocato Brandstaetter dice anche che "Tas, Wada (ente che, con una nota, ha espresso la propria soddisfazione per la sentenza ndr) e World Atletics dovrebbero essere super partes", ma la realtà rimane la stessa: Alex dovrà scontare interamente la squalifica di otto anni, e quindi è finita la sua carriera di atleta, se ancora sperava di averne una.

"Ma è un uomo molto equilibrato, e si riprenderà", sottolinea Donati.

Rimane l'amaro in bocca per una brutta storia, rivelatasi infinita in quanto fatta di battaglie legali, test e controprove varie per smontare l'impianto accusatorio.

E resta anche il rimpianto per ciò che avrebbe potuto essere a Rio, se Schwazer avesse gareggiato, e invece non è stato.

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