Evasione fiscale, Messi in tribunale: «Non pensavo papà m'ingannasse»

Anziché presentarsi sul dischetto per calciare un penalty, Leo Messi stavolta si è ritrovato in un posto diverso da un’area di rigore: un’aula di tribunale dove anzichè attaccante si è dovuto improvvisare difensore. Di sè stesso, perchè il fuoriclasse argentino - completo blu su camicia bianca e cravatta, e un new look con un’originale barba incolta - è accusato di presunta evasione fiscale e la procura spagnola ha già chiesto per lui 22 mesi e mezzo di reclusione.

La «pulce», il padre Jorge (accusato dello stesso reato) e il fratello Rodrigo sono arrivati poco dopo le 10 all’Audiencia Nacional dove due giorni fa si è aperto il processo.

Assente alla prima udienza e giustificato perchè reduce da un infortunio subito in nazionale, Messi è sceso dal pullmino nero con i vetri oscurati sul quale era salito anche un portavoce del Barcellona ed è stato accolto da circa 200 tra cronisti, fotografi e cameramen, rigorosamente dietro le transenne, ma non sono mancati anche tanti tifosi e qualche voce critica (uno dei presenti gli ha gridato un colorito «Vete a jugar a Panama, cabron!»). La giustizia spagnola imputa all’argentino di aver frodato il fisco di circa 4 milioni nel 2007-2009 (l’inchiesta si è concentrata soprattutto sui diritti di immagine, per i quali attraverso società offshore sarebbe stato aggirato le leggi) - e nei primi due giorni di dibattimento ha già raccolto le dichiarazioni di testimoni ed esperti. La linea difensiva dell’argentino è invece sempre la stessa, ripetuta anche oggi dal diretto interessato davanti al giudice: «ero totalmente all’oscuro delle operazioni fiscali messe in campo da mio padre Jorge e non ho mai partecipato in alcun modo alle decisioni prese. Io pensavo solo a giocare».

«Firmavo contratti perchè mi fidavo di mio padre e mai pensavo che mi potesse ingannare - la linea difensiva della ‘pulcè - Non mi sono mai interessato a questi problemi, quindi non sapevo che stavo infrangendo la legge». Una tesi condivida dal genitore e dallo studio legale che gestiva i contratti. «La mia intenzione era quella di rendere la vita più facile a mio figlio, che doveva dedicarsi solo a giocare», ha risposto Messi senior. «Poi è arrivato il momento in cui abbiamo avuto bisogno di una consulenza legale e fiscale ma non abbiamo mai cercato alcun trattamento fiscale favorevole, nè migliore nè peggiore». E anche se ha precisato di aver seguito i negoziati di alcuni contratti, Jorge ha spiegato al giudice di «non avere nozione di leggi, a ma bastava solo dire sì o no al contratto che mi veniva sottoposto».

In ogni caso, ha insistito il genitore, «Leo non sapeva nulla di queste aziende e non ha letto i contratti». «Noi parlavamo sempre con Jorge Messi e a volte con Rodrigo Messi, ma mai con Leo», ha spiegato Inigo de Loyola Juarez, uno dei partner dello studio legale Juarez Veciana che all’epoca curava gli affari dell’argentino. «Tutta la documentazione è sempre stata chiesta a Jorge Messi. Di Leo non avevamo né il telefono né la e-mail».

Davanti al giudice Jesus Navarro - con Messi serio e impassibile per tutta la durata della testimonianza, si è mosso solo quando gli è stata portata una bottiglia d’acqua - Juarez ha poi rivelato che «Jorge Messi sapeva che gli importi versati in Uruguay non erano imponibili in Spagna», mentre il mediatore Josep Maria Minguella ha spiegato che «quando il giocatore ha avuto bisogno di una consulenza sulle questioni fiscali gli è stato fatto il nome dello studio legale Juarez perchè la famiglia Messi aveva ben poca conoscenza di questi temi».
Nelle prossime ore il numero dieci dell’albiceleste dovrebbe raggiungere la nazionale in vista del debutto in Coppa America, schiena permettendo, in programma nella notte del 6-7 giugno contro il Cile.

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