Dopo l'exploit di Lanzarote Degasperi punta alle Hawaii

Alessandro Degasperi, 34 anni triathleta di Predazzo, ha un posto di riguardo nella storia di questo severo quanto affascinante sport. Il campione trentino, cresciuto senza cercare grancassa attorno al suo nome, mettendo un mattone alla volta nella sua evoluzione di atleta, a Lanzarote ha trionfato infatti nell’Ironman (3,86 km di nuoto, 180 di bici e 42,195 km di corsa) più duro in assoluto, entrando nel gotha mondiale degli «uomini d’acciaio». Coronamento di una carriera? No, non ancora:  il suo sogno si chiama Hawaii.
Giusto per capire: dovendo fare un parallelismo con altri sport, a cosa paragoneresti la tua vittoria all’Iron di Lanzarote?
«Nel ciclismo direi che potrebbe essere una classica di prima fascia. Nello sci di fondo mi vengono in mente una Vasalopett o una Marcialonga. Io sono il terzo italiano di sempre ad essermi aggiudicato un Iron. Prima di me ci erano riusciti solo Daniel Fontana in Messico e qualche mese fa Domenico Passuello a Taiwan».
Con la differenza che il peso specifico dell’Iron di Lanzarote è nettamente superiore a quello degli altri due...
«Beh, effettivamente Fontana e Passuello hanno vinto due Iron che erano alla prima edizione, mentre Lanzarote è una delle prove storiche dell’Ironman (quella che ho vinto era la 24ª edizione) oltre che, a detta di tutti, la più dura in assoluto del circuito Wtc».
Vittoria pesantissima, quindi, di quelle in grado di coronare una carriera...
«In parte è così, anche se più che come un punto di arrivo io la sto vivendo come la conferma di essere sulla strada giusta per poter fare ancora meglio. Sono convinto di poter tirar fuori ancora qualcosa di più da me stesso.Il sogno, come tutti quelli che fanno triathlon, è partecipare e fare il meglio possibile all’Iron per eccellenza, quello delle Hawaii».

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Grazie al trionfo a Lanzarote hai staccato il pass per questa leggendaria sfida?
«No, non ancora. Una volta era sufficiente vincere un Iron del circuito per avere il posto assicurato. Ora la Wtc richiede agli atleti il raggiungimento di un determinato punteggio nelle prove da essa riconosciute: ciascuno tiene buoni i suoi 5 migliori risultati».
Il 10 ottobre ci sono possibilità di vederti al via alle Hawaii?
«Io conto di riuscire a raggranellare i punti che ancora mi mancano. Il 5 luglio disputerò l’Iron di Francoforte: lì, dopo aver vinto Lanzarote, per ovvie questioni legate ai tempi di recupero dopo uno sforzo tanto intenso, non potrò essere al 100%, ma mi basterebbe arrivare nei dieci per essere relativamente tranquillo e poi puntare a qualche 70.3».
La tua vittoria a Lanzarote è giunta a nemmeno cinque mesi dall’operazione che hai subito alla spalla dopo Natale: un record nella categoria dei tempi di recupero!
«Mi ero infortunato il 31 agosto 2014 finendo in bici addosso ad un concorrente che mi era caduto davanti su un ponticello bagnato. La diagnosi fu lesione del cercine glenoideo, una specie di menisco della spalla. Il problema sembrava potesse rientrare con terapie specifiche, invece ho solo perso mesi preziosi e dopo Natale, visto che la situazione non migliorava, ho deciso di farmi operare. Ed è stata la scelta giusta».
Non devono essere state settimane particolarmente serene quelle trascorse nell’attesa dell’intervento e nel recupero della funzionalità dell’articolazione
«Sull’esito dell’operazione mi sentivo abbastanza sicuro, avendo avuto ampie rassicurazioni da tre chirurghi della spalla. La fase della riabilitazione è stata la più delicata, perché dopo 4 settimane di tutore, il braccio era immobilizzato, ma con la fisioterapia ho avuto un buon recupero».
In riposo forzato la spalla, avrai continuato ad allenarti per corsa e bicicletta.
«Al minimo sindacale all’inizio, anche se è proprio vero che non tutti i mali vengono per nuocere. Nel mese successivo all’intervento, non potendo ancora correre su strada o uscire in bici ed utilizzando solo rulli e spinning in palestra a Predazzo, con il mio storico allenatore Alberto Bucci ci siamo concentrati su una serie di lavori per incrementare la forza, aspetto della preparazione che avevo sempre tenuto molto in secondo piano. Ed i benefici, al momento di riprendere la vera preparazione, sono stati notevoli».
Puoi snocciolarci qualche cifra relativa ai tuoi allenamenti, giusto per inquadrare cosa significhi preparare un Ironman in termini di tempo e distanze?
«In media mi alleno 120 ore al mese, con le settimane di carico che arrivano a quasi 40 ore di lavoro. In una settimana nuoto circa 20 chilometri, percorro in bici dai 400 ai 700 chilometri e corro a piedi dai 60 ai 90 chilometri».
E il «menù» delle tre discipline come lo assortisci?
«Mi alleno 2-3 volte al giorno e se posso svolgo senza soluzione di continuità due discipline. Tendenzialmente la mattina la dedico alla bici e il pomeriggio a corsa e nuoto».
Quindi eviti il tris nella scansione classica nuoto-bici-corsa. C’è un perché?
«Quello che tu chiami tris, tecnicamente si chiama allenamento combinato. Io preferisco evitarlo perché duro e traumatico. Piuttosto se devo preparare una prova dove punto a far bene, seleziono delle gare preparatorie e vi partecipo per fare i combinati».
Come per i comuni mortali, anche le giornate dei triathleti hanno massimo 24 ore. Verrebbe da dire che prima che ottimi atleti siate inarrivabili organizzatori di tempo, visto che oltre agli allenamenti avrete auspicabilmente anche una vita privata da gestire.
«Mi piace la definizione "organizzatori di tempo"...Personalmente oltre al triathlon, gestisco con mia moglie un’attività lavorativa legata al triathlon e quando posso do una mano al progetto dell’Uni.Team Trento. Insomma, sono sempre di corsa, ma è la vita che mi piace».
E con la famiglia come ti regoli?
«Io ho l’enorme fortuna di aver sposato Federica, ex-triathleta che dunque sa bene cosa significhi praticare ad alto livello questo sport. Di professione fa la fisioterapista e quindi si occupa anche del sottoscritto quando affiorano problemini fisici. Con noi c’è nostro figlio Luca, 8 anni e tutti insieme sfruttiamo le mie trasferte per girare il mondo: i giorni precedenti e successivi alle gare, infatti, sono quelli che mi lasciano più tempo libero. E quelli sono tutti per loro».
Oltre che organizzatori di tempo, i triathleti di livello si ha l’impressione che debbano conoscersi molto bene per gestire correttamente gli sforzi che affrontano.
«Personalmente è un aspetto che curo da sempre e in cui  cerco continuamente di migliorarmi, con la metodicità degli allenamenti (che per me sono tendenzialmente legge) e con l’ausilio di cardiofrequenzimetro, misuratore di potenza e distanza».
Nell’Iron a maggior ragione, visti i chilometraggi che affrontate...
«Sicuramente, tanto che io sostengo che l’Iron in fondo è matematica, in quanto fin dalla partenza sai esattamente cosa puoi valere e quanto puoi spingere. Se ti discosti dal "piano di gara" prima o poi paghi. Farsi prendere dall’entusiasmo in un Iron costa sempre carissimo».
E’ stata questa la chiave del tuo successo a Lanzerote?
«Direi di sì, basti dire che in bici, al 100° chilometro avevo circa 11 minuti di ritardo dal primo e gestendomi bene nei restanti 80km di ciclismo e nella successiva maratona, sono riuscito a sopravanzare tutti. L’ultimo, Kramer, quando mancavano 2km all’arrivo».
Sport di immane fatica, il triathlon inevitabilmente si presta ad essere affiancato alla parola doping. Tu cosa ne pensi?
«Sono convinto che anche nel nostro mondo ci siano atleti che fanno uso di sostanze dopanti. Lo storico dell’atleta e i tempi di recupero dopo grandi risultati secondo me sono validi indicatori dell’esistenza o meno di questa propensione. Chi non è mai stato tra i primi e improvvisamente fa il fenomeno o chi inanella prestazioni eccezionali in 3-4 Iron ravvicinati vanno giustamente guardati con sospetto. Personalmente io sono super-schierato contro il doping e pronto in qualsiasi momento a qualsiasi tipo di analisi».
Nuotare, pedalare, correre: lavoro quantomeno originale il tuo, da Forrest Gump col numero sulla schiena. Fino a quando ti vedremo nelle vesti di super atleta?
«Sono un professionista, è vero, ma il triathlon è soprattutto la mia grande passione. Se lo praticassi solo per un discorso economico avrei già smesso da tempo, considerato che non faccio nemmeno parte di un gruppo sportivo militare. Quando mi diventerà un peso, smetterò. Ma non è questo il momento. A Lanzarote sono arrivato vicino al mio meglio.
Ma quello voglio riuscire ad esprimerlo alle Hawaii».

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