Salute mentale / Sociale

Rovereto, lo psicologo di quartiere senza pazienti: l’esperimento è andato male

Nessuno si è presentato nelle circoscrizioni. Eppure, il Comune ha attivato tanti servizi per disagio e povertà. La scelta è partita dai 350 colloqui richiesti a ridosso della pandemia. L’obiettivo è quello di riportare i cittadini a parlare, ad aprirsi

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di Nicola Guarnieri

ROVERETO. C'è una città che sta male, peggio della maggior parte dei residenti. Una città spesso fantasma ma che, un passo alla volta, le istituzioni cercano di prendere per mano. Il più delle volte, chiaramente, si tratta di sopravvivenza ma le intenzioni sarebbero quelle di tirare fuori famiglie e singoli dalle sabbie mobili della povertà e della disperazione. A rendere più difficile il lavoro, tre anni fa, ci si è messo anche il Covid che ha convinto il Comune ad attivare, oltre alla commissione permanente politiche sociali, un gruppo straordinario proprio per l'emergenza acuita dalla pandemia.

I problemi sul tavolo, di fatto, sono i medesimi ma tra i servizi pensati per aiutare i concittadini in difficoltà uno ha decisamente fatto un buco nell'acqua. È quello dei cosiddetti psicologi di quartiere, con un professionionista in ogni rione pronto ad ascoltare chi ha problemi ma dal quale non si è presentato nessuno. Nonostante il Covid prima e la guerra in Ucraina dopo abbiano lasciato eredità psicologiche pesanti. La gente, adulti soprattutto, si è trovata da sola, rinchiusa in una nuvola di pus e senza la possibilità di sputare fiele. Soprattutto per il timore di mostrarsi per il rischio di fare brutta figura. Perché in fin dei conti siamo trentini e le magagne ce le teniamo dentro, un po' per vergogna, un po' per la paura di disturbare.

Da quando la pandemia si è appropriata del mondo, però, qualcosa è cambiato. Al di là che ci siamo tutti «imbruttiti», sono emerse fragilità irrisolte.«Purtroppo lo sportello di assistenza psicologica nelle circoscrizioni non ha funzionato - spiega l'assessore alle politiche sociali Mauro Previdi - per questo abbiamo coinvolto l'associazione "Cantiere Famiglia" che in piazza San Carlo ha comunque incontrato cinque persone. Poche, mi rendo conto, ma è un inizio».

Questa scelta è partita dai 350 colloqui che l'associazione ha avuto a ridosso della pandemia. L'obiettivo, dunque, è quello di riportare i cittadini a parlare, ad aprirsi. Perché magari due chiacchiere con un volontario comunque esperto e formato possono evitare cure o faccia a faccia con psicologi e psichiatri dell'Azienda sanitaria. Le due commissioni - politiche sociali ed emergenza - si sono incontrate per fare il punto. Iniziando dagli anziani, dallo Spazio Argento gestito assieme alla Comunità della Vallagarina, quella degli Altipiani Cimbri, dell'Azienda sanitaria e dei sindacati.

«Lo scopo di questo spazio è quello di creare le condizioni per assicurare alle persone con più di 65 anni un punto di riferimento specifico, unitario e come detto multidisciplinare, per orientare e accompagnare nella scelta dei servizi. Il Comune e le Comunità hanno già alle spalle un anno di sperimentazione, durante il quale sono stati 507 gli accessi. La nostra esperienza ha permesso di sviluppare e consolidare proficue collaborazioni con l'unità operativa delle cure primarie, con gli uffici periferici della Provincia e con i principali patronati operativi su Rovereto».

Si è poi parlato di marginalità e di gente che non riesce a mettere sotto i denti due pasti al giorno o che vive per strada. Partiamo dal cibo e da quel vecchio progetto di emporio solidale rimasto nel cassetto. «Purtroppo i tempi non sono maturi: Rovereto solidale ed Alm, le due associazioni individuate per gestirlo, svolgono un lavoro egregio ma per quest'operazione, insieme, non è ancora il momento giusto».

L'idea iniziale, lanciata qualche anno fa da Marco Zenatti con un progetto strutturato, era di sfruttare l'ex supermercato Martini di Lizzanella. Una soluzione che, però, è saltata. «I frati di Santa Caterina hanno messo a disposizione uno spazio, l'ex deposito degli attrezzi. Se si vuole partire c'è la disponibilità del Comune a intervenire e sistemare quel luogo. A Verona e Bolzano gli empori solidali funzionano benissimo anche perché sono posti di aggregazione sociale non solo di distribuzione di viveri. E lì si può fare l'analisi delle persone per capire le scelte politiche da adottare oltre, ovviamente, a togliere dalla strada quelli che vanno a prendere il pacco cibo rispettando la dignità delle persone. Le due associazioni sarebbero perfette e continuerebbero a fare questo ma, ripeto, i tempi non sono ancora maturi».

Infine, chi dorme sulle panchine o in edifici abbandonati. «Per quello c'è l'Unità di strada. I dati ufficiali parlano di 15 persone seguite. Ogni due mesi, poi, ci sono incontri con Caritas e psichiatria per capire come agire. Le conosciamo una ad una, le accompagniamo dal medico di base e ai patronati. I nostri operatori sono formati e girano senza pettorina per non creare distanza tra loro e l'utente».

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