La ricercatrice trentina Giulia Giordano: ecco come si può fermare il virus

di Matteo Lunelli

Ci sono i Dpcm, con regole e restrizioni che hanno una finalità: fermare, o meglio contenere, il virus. E poi ci sono gli effetti dei decreti da studiare e me più in generale l'andamento dei contagi, sono i ricercatori: numeri, dati, grafici, percentuali permettono di capire e analizzare quello che sta accadendo, dando spunti spesso fondamentali per fare la scelta giusta al momento giusto.

«I risultati di ogni misura di contenimento hanno bisogno di almeno due settimane di tempo per essere visibili nei dati e nelle percentuali. Però noi possiamo stimare progressioni ed evoluzioni».

A parlare è la ricercatrice dell'Università di Trento Giulia Giordano, un'esperta il cui ambito sta a metà tra l'ingegneria e la matematica. Giordano fa parte di un team nazionale, coordinato da Giuseppe De Nicolao dell'Università di Pavia, con ricercatori delle Università di Udine, del Politecnico di Milano, della Fondazione Irccs del Policlinico San Matteo di Pavia e appunto dell'Università di Trento. I primi studi sono stati fatti già in occasione della prima ondata di Covid-19, ma il lavoro prosegue. «Abbiamo analizzato i numeri fino alla fine del mese scorso, che erano le conseguenze di quanto accaduto a inizio ottobre. Ora abbiamo cercato di capire se le misure prese due settimane fa potranno avere degli effetti, anche se è una continua rincorsa, considerato che adesso è in vigore un nuovo Dpcm. In ogni caso quello che abbiamo visto è che all'inizio la crescita è sempre lineare, ma poi ci arriva a una crescita esponenziale: i numeri esplodono e ci colgono di sorpresa».

Ecco, la sorpresa. L'andamento del virus, spiega Giordano, ha due aspetti principali: la sua natura esponenziale e il tema del ritardo. «Ci vuole tempo sia per capire la crescita sia per valutare il contenimento, ovvero per capire se una misura è troppo blanda o viceversa efficace. Inoltre moltissimo dipende dalla responsabilità di ognuno di noi. Faccio l'esempio della Svezia, Paese con il quale ho molti contatti per via dell'Università. Spesso sulla stampa si legge che lì non è stato necessario un vero e proprio lockdown. Ma il governo ha suggerito una serie di norme di comportamento, dall'evitare i centri commerciali e i mezzi pubblici fino al rispetto del distanziamento: è stato un invito alla popolazione, non un'imposizione, ma evidentemente è stato rispettato da gran parte delle persone senza bisogno di un decreto e i casi sono calati».

Tornando alla stretta attualità, la ricercatrice sottolinea come nello studio la salita esponenziale riguardi prima i nuovi casi, ma poi anche il numero dei ricoveri, i letti in Terapia intensiva occupati e i decessi.
«Lo scorso mese in molti pensavano "ok aumentano i contagi ma il resto è sotto controllo, a partire dalla situazione negli ospedali". Invece i dati riportano un proeccupante allineamento tra i vari grafici. Io vivo e lavoro in Trentino e direi che il trend locale è allineato a quello nazionale e in particolare a quello della Lombardia, seppur con numeri molto minori».

Come si esce da questa situazione? Gli strumenti sono, fondamentalmente, due. «Quello che chiamiamo lockdown, non dimenticando che lo stesso obiettivo può essere raggiunto rispettando rigorosamente mascherine, distanze e igiene. Oppure un utilizzo massiccio dei test e del tracciamento dei contatti, da fare senza che il sistema vada in tilt o si blocchi quando i numeri salgono, perché con l'esplosione di casi e poi di ricoveri e decessi questa strada diventa impraticabile. La prima arma, quindi, resta sempre il distanziamento: è come un incendio, se il fuoco non trova nulla di vicino da bruciare si spegne».

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