1945, risveglio trentino e morti dimenticate dell'insurrezione

Nelle cerimonie ufficiali non vengono menzionati quasi mai: si tratta dei numerosi morti in Trentino nell'ultimo atto della Resistenza, raro momento di azione diffusa e decisa del movimento di Liberazione. Negli ultimi giorni di aprile e all'inizio di maggio del 1945 si assiste infatti a un improvviso risveglio anche nel sonnecchiante Trentino, dove il contrasto all'occupazione nazista era stato assai flebile e circoscritto a poche esperienze collegate con brigate partigiane operanti in altre province

di Zenone Sovilla

Nelle cerimonie ufficiali non vengono menzionati quasi mai: si tratta dei numerosi morti in Trentino nell'ultimo atto della Resistenza, raro momento di azione diffusa e decisa del movimento di Liberazione.

Negli ultimi giorni di aprile e all'inizio di maggio del 1945 si assiste infatti a un improvviso risveglio anche nel sonnecchiante Trentino, dove il contrasto all'occupazione nazista era stato assai flebile e circoscritto a poche esperienze collegate con brigate partigiane operanti in altre province. In precedenza tra gli oppositori locali aveva dominato il cosiddetto «attesismo», accentuatosi in risposta alle prime repressioni e intimidazioni.

Altrove nel nord Italia la reazione fu antitetica: non un arretramento davanti alle minacce naziste ma un salto di qualità della guerriglia. In questo contesto indebolito, fu agevolato l'arruolamento a opera dei tedeschi di oltre tremila giovani trentini, inquadrati in un corpo militare di sicurezza, il Cst. Furono impiegati nel controllo del territorio e in attività di repressione della Resistenza anche in aree confinanti, specie nel Bellunese, dove un analogo tentativo di reclutamento fallì (anche grazie a varie forme di sabotaggio) e gran parte dei richiamati riparò in montagna a ingrossare le fila partigiane, organizzate soprattutto dai comunisti ma affollate anche da cattolici.

Va ricordato che dopo l'8 settembre 1943 Hitler assecondò le mire espansionistiche dei nazisti tirolesi istituendo un'area amministrativa afferente al Terzo Reich, la Zona di operazioni delle Prealpi, che era affidata al Gauleiter di Innsbruck Franz Hofer e inglobava le tre province dolomitiche.

In Trentino la debolezza operativa degli antifascisti, dunque, in un primo tempo aveva facilitato la coscrizione tedesca e successivamente ostacolò la formazione di un movimento di resistenza endogeno che si sarebbe trovato a scontrarsi con una forza occupante costituita anche da migliaia di giovani autoctoni in divisa nazista. Erano miliziani trentini, per esempio, coloro che arrestarono per strada e poi fucilarono la partigiana Clorinda Menguzzato «Veglia», a Castel Tesino, nell'autunno 1944, così come quelli che nel febbraio 1945 fermarono e uccisero (su ordine del sanguinario capitano austriaco Karl J. Hegenbart), Ancilla Marighetto «Ora», vicino al passo del Broccon, presso il confine bellunese.

In questo scenario problematico, le isole di resistenza organizzata si riducono sostanzialmente alle brevi esperienze del Basso Sarca, della val Cadino (Fiemme) e del battaglione «Gherlenda» attivo in Tesino e dintorni come emanazione della brigata bellunese «Gramsci».

Data la posizione strategica nell'asse del Brennero, la stessa Trento e dintorni fu meta di parecchie missioni partigiane partite dal Feltrino con l'obiettivo, rivelatosi troppo ambizioso, di organizzare una rete di guastatori alla stregua di quella bellunese che sganciandosi dalle montagne metteva a segno azioni di sabotaggio fino alla pianura veneta e in Valsugana. «Si trattava di attività per lo più concordate con i comandi e le missioni alleate: l'obiettivo strategico era impegnare nell'area alpina le truppe naziste, sottraendo rinforzi e interrompendo le linee dei rifornimenti via terra alla Linea Gotica, l'attestamento difensivo che attraversava l'Italia centrale da ovest a est, attuato dal feldmaresciallo tedesco Albert Kesselring nell'agosto 1944, per contrastare l'avanzata angloamericana.

 

Nella zona Prealpi era in costruzione una seconda linea difensiva (Alpenfestung) e lo stesso generale Rommel dovette trattenere già a fine '43 due divisioni corazzate a Belluno per ostacolare l'attività della imponente resistenza locale», spiega lo storico di Borgo Valsugana Giuseppe Sittoni, che ha indagato in particolare l'attività partigiana nel Trentino orientale e le sue connessioni con la vicina provincia dolomitica.

Fu nei mesi di settembre e di ottobre 1944 che su ordine del Führer i nazisti richiamarono contingenti militari anche da fuori per dar corso a una violenta offensiva contro le formazioni partigiane e la popolazione civile: sul monte Grappa (solo qui vi furono 400 morti, 500 i deportati), sulle Vette Feltrine, in altre aree bellunesi e nell'Alto Vicentino. Tutte zone nella quali erano confluiti per aderire alla Resistenza anche i pochi giovani trentini, compresi alcuni disertori, sfuggiti al reclutamento nazista e che poi si trovarono di fronte, durante i rastrellamenti, anche i loro conterranei del Cst e gli accaniti sudtirolesi del Polizeiregiment Bozen. Il crollo definitivo della Germania pareva vicino ma non arrivava: ci sarebbe voluto un altro lungo inverno, stagione che una parte del movimento partigiano avrebbe trascorso in montagna proseguendo nella guerriglia malgrado l'invito degli Alleati ad attendere la primavera. Anche gli ultimi mesi di occupazione furono particolarmente luttuosi a Belluno, dove fra i numerosi impiccati ci fu (il 10 marzo 1945) il medico ravennate Mario Pasi, comunista, che prima della clandestinità lavorava all'ospedale Santa Chiara di Trento.


La crudele determinazione nazista, attuata anche con l'incendio di molti paesi bellunesi, testimonia del ruolo strategico delle attività di sabotaggio e smentisce chi, in altre zone, teorizzava e praticava l'arte dell'attesa, favorita da una particolare «declinazione» della morale cattolica. Un'arte che alla fine del conflitto si tradusse nella nota vulgata «a nemico che fugge ponti d'oro», cioè a dire che i tedeschi avrebbero dovuto ritirarsi a modo loro, indisturbati così come prima occupavano serenamente il territorio.

Il 25 aprile 1945 il Comitato di liberazione nazionale dell'Alta Italia proclamò via radio l'insurrezione, per la presa del potere, che a quel punto era già avvenuta in città come Milano, Genova e Torino. Anche le formazioni partigiane trentine preparano l'azione militare: «Si trattava di disarmare e catturare i soldati tedeschi e le milizie fasciste, di iniziare trattative per una reciproca intesa di non aggressione, di difendere le città e le valli dalla ?ritirata? dell'esercito occupante. In molte realtà questi obiettivi furono raggiunti senza che ciò comportasse gravi conflitti armati. In altri casi l'insurrezione comportò delle vittime, tra i partigiani, i civili e i tedeschi», si legge nella «Relazione di una squadra bianca della Val di Non», nel volume «Cinquant'anni» (1995).

Nel Bellunese fin dal 17 aprile la divisione Garibaldi «N. Nanetti» aveva ricevuto dal comando alleato l'invito a impedire il transito sulle Alpi dei piccoli gruppi nazisti in fuga: fra loro potevano esserci criminali di guerra oppure le opere d'arte saccheggiate nelle città italiane.

A Belluno e dintorni i nazisti rifiutarono il patto di resa e fino al 1° maggio vi furono intensi combattimenti con i partigiani (trenta caduti si aggiunsero al migliaio di vite perse in precedenza).

In Trentino, il 26 aprile le forze antinaziste, «limitate nel numero e scarse nell'armamento, ma animate dalla volontà di contribuire alla liberazione del proprio Paese, entrano in azione per contestare al tedesco l'occupazione», scrive Giovanni Parolari in «A dieci anni. la Resistenza e il Trentino» (Museo del Risorgimento, 1955). La resa incondizionata fu siglata dai nazisti il 29 aprile, con effetto dal 2 maggio: le truppe dovevano consegnare le armi e risalire la penisola per rientrare in Germania. «E dove si comportarono così - commenta Sittoni - ottennero senza problemi il lasciapassare da partigiani. In Trentino fu il caso dei trenta tedeschi catturati e subito rilasciati da Celestino Marighetto "Renata" (fratello di "Ora") e i suoi uomini del Gherlenda lungo la strada del Murello, che da Grigno sale a Castello Tesino.

Non fu cosi per l'inganno di Vigolo Vattaro: i tedeschi si presentarono con fascia bianca per poi massacrare sei partigiani. In val di Cembra un'auto della Croce rossa, con a bordo tre nazisti armati, fu intercettata dai partigiani il 3 maggio: per ritorsione la colonna tedesca che seguiva fece terra bruciata a Stramentizzo e a Molina di Fiemme con il massacro di ventotto persone e l'incendio di una trentina di case».

 

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È difficile ricostruire un quadro dettagliato dei morti e dei feriti trentini nelle giornate confuse dell'insurrezione: furono probabilmente alcune decine. Fra loro figurano Desiderio Andreatta, ucciso dai nazisti in uno scontro a Povo.

Un elenco parziale degli insurrezionalisti locali uccisi a fine aprile-inizio maggio 1945 è contenuto nel volume «A dieci anni. La Resistenza e il Trentino», curato da Bice Rizzi nel 1955 (Museo del Risorgimento). Vi compaiono, fra gli altri, Alvaro Bellettati (Riva del Garda); Andrea Berlanda (Riva); Giuseppe Caproni (Arco); Lino Carmellini (Basso Sarca); Antonio Chiarani (Basso Sarca); Rodolfo Degasperi (Cembra); Mario Fedrigotti (Vallagarina); Remo Ferrari (Riva); Egidio Fontana (Ziano di Fiemme); Epifanio Gobbi (Arco); Luciano Lucchi (Trento); Ivo Maccani (Trento); Cesare Maffiodo (Riva); Renzo Nardon (Trento); Achille Rella (Molina di Fiemme); Vittorio Furlan (Novaledo). Sei di queste vittime non figurano nelle liste ufficiali dell'Anpi (l'associazione partigiani), forse perché ritenuti non abbastanza «politici».

C'è invece il nome del gardesano Remo Ferrari, che in realtà non partecipò all'insurrezione ma era un miliziano del Cst ucciso, con altre cinque persone, dal suo comandante K. J. Hegenbart in fuga da Strigno, il 27 aprile 1945.

 

Alla tragica vicenda del carabiniere Vittorio Furlan è dedicata una via a Novaledo: una storia sulla quale da poco ha svolto ricerche lo studioso Paolo Chiesa. Furlan, nativo del luogo, classe 1923, rientrò in Valsugana dopo l'8 settembre, fu assegnato al comando dei carabinieri di Levico, ma alla fine del 1944 aderì alle formazioni partigiane, come scrive Chiesa in un articolo uscito nel numero di dicembre 2013 del bollettino comunale di Novaledo. Il 28 aprile 1945, il giovane partecipò con altri partigiani al disarmo di 150 militari tedeschi presso Caldonazzo. Poi, nel pomeriggio, si avviò in auto con otto compagni verso la zona di Levico. Durante il tragitto, però, la Balilla su cui viaggiavano fu bersagliata dai colpi sparati da nazisti appostati sul colle di Tenna: Vittorio fu l'unico colpito, venne trasportato in ospedale ma le ferite erano troppo gravi e all'indomani si spense, attorno a mezzogiorno.

 

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