Ines Fedrizzi, l’artista che inseguiva la bellezza

Mia mamma Ines e un oblio inaccettabile

Sono contento di ritrovare il nome Faustini come direttore di questo giornale e mi soffermerei ben volentieri a ricordare le serate in cui mia madre e suo padre, in occasione di qualche cena a palazzo Pompeati o più semplicemente, casa Fedrizzi discutevano d’arte.
Era un piacere ascoltarli. Di suo padre, nei ricordi che mi hanno seguito in Santo Domingo, mi rimangono gli scritti e le presentazioni che fece per raccontare Ines e la sua arte.

Avrei molto da scrivere, non è certo mia abitudine sfiorare solamente momenti così vivi e sono sicuro che li riprenderò per aggiungerli al «Riaffiorare dei ricordi», un libretto, l’ultimo, che mi tiene impegnato. Penso che questo quotidiano sia in debito con mia madre, come personaggio e artista. In questi ultimi anni un vergognoso velo di oblio si è esteso su di Lei e sulla sua casa. Le vicende famigliari del 2010, per quanto deleterie, non avrebbero dovuto intaccare il suo nome, il suo operato, la sua immagine. Sono passati quasi 10 anni, un tempo abbastanza lungo per riparare ciò che la cronaca di quei giorni (incurante del danno collaterale che procurava a Lei) mise impietosamente in primo piano.

E qui aggiungo due righe tolte dal mio libro «Flash», Trasposizioni temporali del mio io, dove mi chiedo:«Quanti politici, quanti amministratori, quanti professionisti, quanta gente della “Trento bene…”, quanti giornalisti, quanti personaggi della cultura hanno ambito alla sua tavola? Quanti ne hanno tratto profitto? Quanti ne hanno tradito le aspettative?».

Non vorrei andare oltre, non è il momento, vorrei solo che pubblicaste due righe, dovute, con la consapevolezza di raccontare semplicemente chi era, chi è, Ines Fedrizzi, senza cadere nella solita cronaca, di questa se ne è scritta a sproposito anche troppa. Alle vostre, aggiungo un brano preso in prestito dallo stesso libro.
Sono nella sua stanza seduto in un angolo del letto, è il tardo pomeriggio, la finestra è aperta, un raggio di sole ormai stanco fruga senza speranza fra le sue cose nell’ultimo tentativo di carpirle qualche segreto, “Lei” è lì, sdraiata, sta leggendo un libro, vorrei che mi vedesse, vorrei parlarle, vorrei darle un bacio, ma non posso, devo solo guardarla, chiude il libro e telefona a qualcuno, non sento la conversazione, la vedo solo gesticolare e ridere poi a fatica si alza, entra nel bagno e quando ne esce si ferma alla finestra, ha di fronte il suo giardino, accarezza con gli occhi le rose di maggio, alte e in fiore, rosse, rosate, bianche, si sporge un po’ per salutare Brico, il suo rottweiler, che la sta guardando, vorrei essere un pittore per cogliere quel momento, mi guardo intorno, i suoi libri, i mobiletti pensili con i piccoli profumi, le stampe antiche, la sottile vetrinetta piena di ninnoli di diversa provenienza e infine quel profumo particolare tutto suo. Che insieme, che momento di pace, che bella mia madre!
È tornata a sdraiarsi, ha in mano una penna e si accinge a scrivere in un quaderno, pensa, scrive, cancella, riscrive e ancora cancella, ma qualcosa va avanti, cosa scriverà? Sono curioso ma non voglio invadere il suo privato, smette, allontana lo scritto e prende il cruciverba immergendosi in esso.

- 12 orizzontale, 7 lettere, l’essenza che inebria.
- Profumo.
Domanda sua e risposta mia, com’è successo? L’ho sentita, ma non la voce, l’ho sentita dentro e le ho risposto anch’io, da dentro, un attimo, solo un attimo di contatto, forse un sogno, forse verità, non so.
- Bravo.
Ma allora è vero, l’ho sentita davvero, provo a comunicare ma tutto si ferma a quel attimo…
Riprende a scrivere, ora la penna è scorrevole e rapidamente giunge al termine, chiude il quaderno e dopo un po’ si addormenta. Il raggio curioso del sole ha lasciato il posto alle prime ombre della sera, la campana della chiesa batte i suoi rintocchi, il mio sguardo va al piccolo cimitero del paese, mi giro, “Lei” non c’è, il letto è intatto, dov’è? Era lì sdraiata, dormiva un attimo fa, dov’è? Dove sei? Un richiamo, mi proietto fuori, nel cimitero, la sua piccola lapide è lì, Ma allora sei morta? Che ci facevi in camera, perché questa illusione.

Forse ho sognato, sono un’altra volta lì e vedo il cruciverba, guardo il 12 orizzontale, 7 lettere “profumo”, il quaderno aperto è lì dove l’ha lasciato, lo prendo e leggo: «Come sei bella amica mia». Quel magnifico passo tratto dal «Cantico dei Cantici» adattato così bene ad una sua opera d’arte, ma soprattutto a se stessa.
Come sei bella amica mia... Questo è il “Cantico” che io ho dipinto per te, donna del mondo. Amica mia bella, a te dedico questo pizzo d’oro perché ti adorni.

Come sei bella amica mia, sorella e sposa. Dio ti fece bella, pura, piena di virtù. Io vedo un padiglione edificato per te dal tuo diletto, con fiori di pietra rara e il tuo talamo un altare, il tuo seno che profonde amore e bontà per cui il figlio dell’uomo non cerchi più guerra.
Il tuo uomo ha odorato il tuo grappolo di cipro, ha visto la tua bellezza, la tua anima splendente d’amore, di fede, carità e speranza. Quanto sei bella amica mia! Inebria il tuo diletto e fa che ti conduca in un mondo migliore di pace.
Ancora un dono vorrei darti; che i fiori di pietra dei miei dipinti spandessero il profumo di tutti i fiori del giardino del «Cantico dei Cantici», ma nei miei fiori c’è solo il colore del tuo nardo e il colore ti dono e con il colore io ti celebro, amica mia bella. Eri lì!
Perché? Che mi vuoi dire?
Tuo figlio. Enzo.
Se è arrivato a queste ultime righe La ringrazio per avermi comunque letto, La pregherei, se le è possibile, dii salutarmi suo padre.

Enzo Bolzoni Fedrizzi


 

C’è un fiore in più, nel giardino dei ricordi

Caro Enzo, mi permetti di darti del tu? Ti saluto volentieri mio padre. Tu, per quanto possa sembrare paradossale, salutami tua madre. So che è sempre con te anche se se n’è andata ormai da anni. Ho un ricordo prezioso anch’io di quelle antiche stagioni. E per me, giovane caporedattore dell’Adige ai tempi di Paolo Pagliaro, fu davvero una sorta di laurea entrare in quella casa: conoscere Ines, vivere fra le sue opere, camminare nella casa che era in fondo uno dei suoi vestiti più belli, più colorati, più avvincenti. La tavola, le pietanze di Gualtiero, l’arte che spuntava da ogni dove, il mosaico di conoscenze, di sentimenti ed emozioni, gli scorci di quel palazzo che si facevano cornice di un’opera totale.

Ricordo ogni cosa, di quegli incontri. E ricordo bene quanto esclusivo fosse quel club e quante persone avrebbero voluto sfiorare non solo Ines, i suoi pensieri e le sue opere, ma quella magia che l’accompagnava. In un certo senso era un luogo anche lei: un’isola misteriosa. Fatta di arte, di cultura, di passione - anzi: di passioni, perché passione per lei era un concetto da declinare sempre al plurale - di una storia personale importante. E nelle sue opere c’era tutto questo.
Avevo solo un modo per rispondere alla tua lettera. Dirti che avevamo già previsto di parlare di Ines. Dirti che Danilo Curti ha già scritto un articolo magistrale - che oggi condividiamo con i lettori - per lacerare quel velo di buio che era sceso all’improvviso su quella casa, su quella grande storia.

Alla fine, la luce prevale. Ines torna nelle pagine della cultura: le pagine che ha abitato a lungo. Le sue pagine, mi vien da dire.
Perché è in quello spazio di respiro sconfinato che l’abbiamo sempre ospitata: come artista, come esperta d’arte, come donna curiosa, esuberante, eclettica e sempre assetata di saperi (anche in questo caso è necessario il plurale). In fondo con i frammenti delle nostre pagine si può  contribuire alla costruzione del pizzo d’oro di cui parli nel tuo “cantico”, dedicato a una madre, a un’amica, a una compagna di viaggio, a un faro che resta acceso, a un talento che resta. C’è un fiore in più, nel giardino dei ricordi: il fiore di una ragazza di cent’anni che è riuscita a ritagliarsi uno spazio più forte dell’incedere del tempo.

Alberto Faustini


 

INES FEDRIZZI, L'ARTISTA CHE INSEGUIVA LA BELLEZZA

Anno infausto il 2005. Nell’arco di pochi mesi il mondo della cultura piangeva tre dei suoi più significativi alfieri: il fotografo, reporter e giornalista Flavio Faganello (1933-2005), la pittrice, gallerista e collezionista Ines Fedrizzi (1919-2005) e l’etnografo, scrittore e documentarista Giuseppe Šebesta (1919-2005).
Tre artisti che, sotto il denominatore comune di uno sconfinato amore per la Bellezza, hanno vissuto l’energia e la passione per la ricerca e la scoperta, l’estro e l’emozione della creatività e della fantasia. Insaziabili ed indiscreti nella loro curiosità intellettuale, furono polemisti umanisti, scienziati poeti, gran Lengue ironiche e graffianti contro i falsi idoli dei fast food della cultura, dei mercati del nulla. Ora e per sempre ragazzini intenti a rincorrersi sui margini dell’eternità. La storia erano loro: nessuno si senta offeso.

Anno fausto il 2019. Per il ricordo felice di Ines Fedrizzi, che oggi, 7 novembre, festeggia i suoi cento anni, tra quegli amici pronti al brindisi della memoria. Non la sola, in verità, a raggiungere il traguardo, battuta sul filo da Beppo Šebesta, ricordato, dal 24 luglio ad oggi, dai suoi figliocci ed eredi spirituali al Museo degli Usi e Costumi di San Michele all’Adige, attraverso iniziative di alto profilo umano e scientifico. In una prospettiva extra moenia poi, le loro invenzioni, innestate sulla ricerca dentro il corpo della materia, tra tecnologia e arte totale, incontrano, a Weimar, il centenario del Bauhaus, la scuola innovativa di architettura, arte e design inventata da Walter Gropius nel 1919. E proprio Ines aveva portato a Trento, all’Argentario, la prima esposizione italiana di Lyonel Feininger, quel pittore tedesco-americano che fu il primo maestro chiamato al Bauhaus da Gropius assieme a Paul Klee e Wassily Kandinsky.

Un privilegio per l’amata terra trentina, ottenuto grazie all’amicizia con Laurence Feininger, il figlio di Lyonel che, come lei, operava guardando oltre l’orizzonte chiuso dal cerchio alpino.
Ines cammina ancora spedita tra la Galleria l’Argentario di via Roma e Palazzo Travaglia a Cognola, la sua Casa del Mago. Una donna cannone tutta mani e cervello. Ha vestito tanti panni nella sua vita: infermiera, veterinaria, sarta, arredatrice, antiquaria, collezionista, restauratrice, lettrice, viaggiatrice, gallerista e pittrice. “Irruente come un’acqua di montagna, Ines – come amava ricordarla Rinaldo Sandri - è una di quelle persone dai propositi di ferro, indistruttibili, litigiose ma con improvvise tenerezze, che non si fermano mai (…). Se ricorda qualcuno, vien fatto di pensare ad Anna Magnani: simile nell’estro inventivo, nel piglio di chi va dritto allo scopo, secondo l’impulso di un femminismo ante litteram”. Sì, sempre avanti, protetta alle spalle dal sacro scudo del padre partigiano Giotto e al braccio destro dall’insostituibile Gualtiero. Viaggia dunque Ines, si sposta, da Cadine a Genova e a La Spezia, di nuovo a Trento nel 1954. Conosce Dallabrida, Depero e Bonazza. Apre nel 1960 la sua prima Galleria d’Arte.

«In fatto d’arte contemporanea il Trentino – dirà in una breve autobiografia - si rivela immediatamente ai miei occhi nel suo isolamento provinciale. Il vuoto di iniziative e di proposte anche coraggiose intese allo svecchiamento del gusto del collezionismo locale è una sfida che mi sollecita. In quegli anni le istituzioni sono pressoché assenti nel settore dell’arte contemporanea». Ed è una sfida che vincerà tappa su tappa, anno per anno, anche grazie alle capacità relazionali: tesse pazientemente il filo dell’amicizia con il grande gallerista Carlo Cardazzo, poi con i successori Paolo Cardazzo del “Cavallino” e Renato del “Naviglio” e ancora con Gianni De Marco della Galleria “Il Traghetto” sempre di Venezia.

Si fa stimare da critici e giornalisti d’arte intelligenti e sensibili, come Passamani, Dorfles, Lambertini, Branzi, Serravalli, Gian Pacher, Sandri, Belli, Faustini, Toniato, Chiesa e de Battaglia. La rete sapientemente gettata restituisce un pescato di lusso: dal 1962 agli anni Novanta, Trento accoglie artisti prestigiosi: da Saetti a Deluigi, Bianco, Tancredi, Alviani, Bonalumi, Abe, Santomaso, Iras Baldessari, Scanavino, Korompay, Nakay, Capogrossi, Music, Toyofuku; ma spazio c’è pure per molti trentini come Wolf, Bonacina, Botteri, Colorio, Schmid, Senesi, Pancheri, Polo e per il lancio dei più giovani Perusini, Gelmi, Mazzonelli, Cappelletti e Pellegrini, debitori al suo infallibile intuito da talent-scout.

Ines pittrice nasce proprio con l’apertura della Galleria: amava la pittura informale, i protagonisti dell’action painting, le avanguardie pulsanti, le contraddizioni del contemporaneo.
«Amo il colore che gocciola sulla tela in caotici rivoli - dirà di quegli anni -, che si disperdono o si raggrumano sulla superficie a formare inusitate, imprevedibili composizioni, specchio della mia più nascosta interiorità». Espone attirando l’attenzione, tra gli altri, di Palma Bucarelli e Giulio Carlo Argan. Dopo il Sessanta abbandona la strada del dripping per intraprendere la sperimentazione di nuove tecniche espressive.

«Rimango comunque fedele - dirà - alla scelta astratta. Mi affascina in particolare la tecnica del frottage, che mi permette quella serialità delle icone, che sarà lungo il corso di tutta la mia vita la cifra inconfondibile del mio lavoro».
Una missione, l’adesione alla modernità, intrapresa anche a livello istituzionale, sostenendo dapprima la costituzione del Museo di Arte Moderna e Contemporanea a Trento (1982), quindi la fondazione del Mart. Avventura quest’ultima, grande e gustosa, al fianco dell’amica Gabriella Belli, dove Palazzo Travaglia faceva da crocevia e “ostello” per i protagonisti sul palcoscenico internazionale dell’arte che si affacciavano al nuovo Museo di Botta.

Il fare pittura di Ines si evolve nel tempo: nascono i Mandala, cicli improntali  che svelano un caleidoscopio di magiche visioni vagamente orientaleggianti; successivamente, dagli anni Ottanta in avanti, in un corpo a corpo col colore, giungerà a plasmare “valori cromatici violenti”. «Il colore - dirà - entra prepotentemente nelle grandi opere improntali degli anni recenti, senza per questo annullare l’effetto fortemente e volutamente decorativo della texture del fondo. Queste opere, per le quali ho scelto la grande dimensione, sono il frutto di un lungo lavoro di rifocalizzazione della mia ricerca, vista in un confronto serrato ma sereno con il mio personale cammino d’artista. Il piacere di inventarsi da capo».

Alla verde età di ottant’anni!
Una vita da romanzo, raccontata, con la voce dello stile e dell’affetto, nella biografia dell’amica scrittrice Luisa Gretter Adamoli, edita nel 2002 da Curcu&Genovese, e da tutta la critica militante nell’arte. Dopo la morte, il vuoto. Si è portata via tutto: la sua casa del Mago, le sue Tavole della Memoria, le sue Bambole e i suoi Cani. Ha lasciato il superfluo alla polvere. Ha lasciato i suoi affetti nelle vite di tanti e le sue opere sulle pareti di case e di musei curiosi. Cin Ines, buon compleanno dai tuoi amici.

Danilo Curti

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