Anche Porsche e una Ferrari per i manager Itas

di Sergio Damiani

Da semplice assistente a responsabile delle risorse umane, referente per l’acquisto dei gadget aziendali e stretta collaboratrice dell’ex direttore generale Ermanno Grassi.

In Itas, l’ex funzionaria licenziata - che con le sue dichiarazioni ha fatto partire l’inchiesta penale - era riuscita a ritagliarsi un ruolo di primo piano da quando, nel lontano 1983, aveva messo piede in azienda. Una carriera finita nel peggiore dei modi, con l’accusa di non avere rendicontato acquisti per 388 mila euro nel 2013 e 47mila nel 2014 e la lettera di licenziamento, arrivata il 29 maggio 2015.

Lei, come noto, non solo ha respinto le accuse, ma è passata all’attacco, raccontando il ricco sistema dei «bonus» e spiegando di essersi limitata ad eseguire gli ordini di Grassi. Se il suo racconto sia o meno vero o rappresenti solo una «vendetta» e se lo spaccato offerto dalla donna possa assumere una rilevanza penale (anche per quanto la riguarda) dovranno stabilirlo i giudici.

Intanto emergono minacce, intimidazioni e danneggiamenti contro l’ex funzionaria, dopo la decisione di raccontare quella che - a sua detta - era una prassi consolidata in azienda, ma anche i presunti illeciti. Due le lettere anonime arrivate. Missive scritte da qualcuno che conosceva bene la vicenda.

Del resto la donna non avrebbe certo fatto mistero del contenzioso con l’azienda: «Quello che mi era successo era di dominio pubblico», ha detto agli inquirenti. La prima lettera, dell’autunno 2016, aveva toni ingiuriosi ed offensivi. La seconda, recapitata in inverno, appariva invece più intimidatoria, con frasi del tipo: «Nessuno ti crederà e rimarrai inascoltata». Oppure: «Trascinerai a fondo chi ti sta vicino» e «Rimarrai da sola». Frasi che - benché anonime - avrebbero un esplicito riferimento alle accuse mosse dalla donna nei confronti dell’azienda durante la causa di lavoro.

Entrambe le missive sono note all’autorità giudiziaria e il legale della donna, l’avvocato Andrea de Bertolini, è pronto a produrle. «Si tratta di lettere dal tenore ingiurioso, pieno di rancore e certamente intimidatorio per quanto riguarda l’ultima lettera», evidenzia l’avvocato.

Le lettere non sarebbero l’unico segnale intimidatorio arrivato alla donna. C’è anche un altro episodio, successo invece il 20 dicembre 2016, che per la tempistica sembrerebbe riportare alla stessa vicenda: l’ex funzionaria si è ritrovata due gomme dell’auto bucate con un punteruolo. In questo caso ha sporto denuncia a carico di ignoti.

Ma dalle carte dell’inchiesta emergono anche altre presunte intimidazioni. Nel corso del 2015 - tra settembre e dicembre - sentita varie volte dai carabinieri del Ros, che hanno condotto l’inchiesta partendo proprio da quanto denunciato dall’ex collaboratrice di Grassi, la donna ha ricostruito anche il clima ostile che sarebbe sorto in azienda dopo che le vennero mosse le contestazioni.

Secondo l’accusatrice, che aveva vinto la causa per il demansionamento e che avrebbe dovuto essere reintegrata nel precedente incarico, dopo che le venne comunicata l’apertura del procedimento (12 maggio 2015), sarebbe stata «estromessa» dall’ufficio e dall’accesso ai sistemi informatici.

Una condizione che - sempre secondo l’ex funzionaria - le avrebbe impedito di potersi difendere rispetto a quanto le veniva addebitato, ovvero avere usato i fondi del gadget per acquisti personali. Ma l’ex dipendente riferisce anche di ritorsioni che avrebbe subito un’altra dipendente - citata dalla donna come teste nel processo civile per l’impugnazione del demansionamento - una volta rientrata in azienda dalla maternità. La collega sarebbe stata trasferita senza motivo apparente. In seguito, sempre secondo il racconto dalla funzionaria licenziata, la donna sarebbe potuta rientrare a Trento, anche se per un periodo di un anno.

Dalla ricostruzione fatta davanti ai carabinieri del Ros emerge anche che molti - in azienda - avrebbero saputo dei presunti illeciti, soprattutto per quanto riguardava il sistema di fatturazione. Televisori o elettrodomestici che, per esempio, sarebbero stati indicati come chiavette usb.

Tanto da fare dire ad un dipendente: «Se entra la Finanza andiamo tutti in galera».


 

LE AUTO DI LUSSO

Itas non risparmiava sulle auto in uso ai suoi dirigenti e non solo (una Porsche Boxter sarebbe stata data in uso anche alla funzionaria poi licenziata).

Il top della gamma era riservato a  posizioni apicali, come quella del direttore generale Ermanno Grassi. In questa fascia troviamo Porsche e Ferrari. Si tratta di auto sportive che Itas non acquistava, ma otteneva con contratti di noleggio a lungo termine da un’azienda padovana.

La Ferrari è una F458. Agli atti dell’inchiesta sono state depositate anche le e-mail intercorse tra la società che acquistava  l’auto e il concessionario: «Due preventivi - si legge - sono di vetture in pronta consegna rispettivamente di colore rosso corsa, interno nero, e nero Daytona, interno nero....». Pare che la scelta sia caduta su questa seconda proposta.

Ferrari e Porsche sono auto che non passano inosservate. Non sono le tipiche vetture  che un’azienda mette a disposizione dei suoi manager, ma di per se non c’è nulla di illecito nel fornire ai propri dipendenti delle fuori serie per gli spostamenti di lavoro.

Tuttavia la Ferrari veniva utilizzata con una certa discrezione, come sottolineano gli inquirenti. Sentito come testimone un autista di Itas racconta: «So che il direttore Grassi aveva nella sua disponibilità anche una vettura Ferrari di colore nero in quanto in tre circostanze almeno sono stato incaricato dal direttore generale Grassi  e dalla segreteria di direzione, che mi ha presentato la carta carburante a lui intestata e le chiavi dell’auto citata, ad effettuare rifornimento e successivamente a parcheggiare l’auto in via Pranzelores di Trento in un garage sotterraneo, da dove la prelevavo».

Va sottolineato che per l’utilizzo della Ferrari la procura non ha mosso alcuna contestazione. Un’accusa di truffa invece viene contestata in riferimento ad una Porsche Carrera 911 e ad una Porsche Boxter. Secondo l’accusa i due veicoli sarebbero stati acquistati  da una società veneta e poi noleggiati a lungo termine a Grassi e Itas. Come corrispettivo la società avrebbe ricevuto una sponsorizzazione da 500 mila euro.

AL VERTICE «ZEUS» E I «DIVINI»

«Zeus» e i «divini». Così, forse scherzosamente, venivano chiamati all’interno di Itas l’ex direttore generale Ermanno Grassi e i suoi più vicini e fidati collaboratori.

Ne troviamo traccia anche nelle corpose relazioni che il Raggruppamento operativo speciale dei carabinieri (Ros) trasmetteva al pm Carmine Russo per aggiornare il magistrato sugli sviluppi delle indagini. Nella Cnr del 26 agosto del 2016 gli inquirenti segnalavano come intorno all’ex direttore generale vi fosse «una vera e propria cerchia di soggetti, dipendenti Itas e non, che godevano della benevolenza del capo».

Una sorta di cerchio magico, per usare un’espressione ormai entrata nel lessico della politica, che secondo i carabinieri può «partecipare a viaggi premio, appuntamenti mondani e arricchimenti personali».

Diciamo subito che l’esistenza di un ristretto gruppo di dipendenti fidati ai vertici di una società non è certo un reato. Anzi, è normale che il direttore di una società come Itas si scelga un team di fiducia e cerchi di incentivare lo spirito di squadra. Sono tante le aziende che investono risorse nel team building. Il sospetto degli inquirenti, però,  è che in questo caso i «divini» contribuissero anche a coprire situazioni non esattamente cristalline.

Secondo il Ros, tra i vantaggi di appartenere al gruppo dei fedelissimi c’erano, per esempio, modalità esclusive di trasferta: non semplice biglietto aereo, ma volo privato. «È questo il caso - sottolineano i carabinieri - dell’utilizzo di aeromobili privati per raggiungere Roma invece di utilizzare voli di linea, di cui ne sono stati ricostruiti almeno due in cui Itas ha pagato circa 20 mila euro da Verona a Roma per tre passeggeri». Anche in questo caso siamo di fronte a comportamenti non  rilevanti da un punto di vista penale, ma certo i soci di Itas avrebbero gradito una maggior sobrietà dai loro manager, già ben retribuiti.

Della squadra di fiducia faceva parte anche la ex funzionaria, poi licenziata in tronco dallo stesso Grassi, la cui deposizione ha dato l’avvio a questa complessa indagine. È proprio il settore dell’acquisto di gadget e beni di lusso e dell’assegnazione di bonus il primo a far scricchiolare il gruppo dei «divini».

La funzionaria, che rifiuta di finire da sola in «purgatorio» (l’espressione è del presidente Giovanni Di Benedetto), paga per una gestione disinvolta nell’acquisizione di regali e gadget, settore per cui Itas spendeva una fortuna. Nella lettera di licenziamento, datata 29 maggio 2015, Itas  contesta acquisti senza giustificativo per 388 mila euro nel 2013 e 47 mila nel 2014. Ma nella raccomandata inviata alla funzionaria si prefigura un conto ancor più salato per «le sue incontenibili scorribande - si legge nella lettera - nei negozi di lusso», ipotizziando una cifra superiore a 1,2 milioni di euro e forse vicina ad 1,5 milioni. Nella causa di lavoro intentata contro Itas   (contenzioso pendente, che in primo grado ha visto soccombere l’ex funzionaria) la ricorrente replica spiegando di aver seguito le indicazioni del direttore generale (il quale, invece, resisteva ben solido al comando visto che il 2 marzo 2016, alla luce dei buoni risultati conseguiti, riceveva un aumento di stipendio di 150 mila euro annui).

Di certo, finché fiscalmente possibile, in Itas vigeva l’abitudine, anche qui non illegale, di premiare il «personale di vertice» con «bonus». Una prassi che secondo i carabinieri «ha consentito la creazione di un ambito di benevolenza da parte dei destinatari  attraverso cui si è nel tempo ineludibilmente asseverato un vero e proprio sistema di scambio di favori». Torniamo insomma alla logica dei «divini».

Certo il sistema dei «bonus», che permetteva ai manager meritevoli di rinnovare il guardaroba a spese di Itas, faceva la fortuna anche dei pochi ed esclusivi negozi scelti come fornitori ufficiali. Sentito come testimone, il titolare di una di queste boutique del centro città spiega che «dal 2012 fino al maggio 2014 vi era un sistema tale per cui io ricevevo una telefonata dalla signora (l’ex funzionaria poi licenziata, ndr), la quale mi informava che presso il mio negozio si sarebbe presentato un soggetto per conto di Itas che avrebbe beneficiato di un bonus quantificato di volta in volta».

Insomma era un po’ come essere presi sotto braccio da Babbo Natale: «Mi ricordo che una volta arrivata nel negozio - ha riferito nel corso delle indagini una dipendente Itas nominata per un «bonus» - le dipendenti mi portavano autonomamente l’abbigliamento che avrei potuto prendere». All’uscita non c’era bisogno di pagare. Ci pensava poi Itas a saldare il conto finale.

COMPENSI A DIRETTORE E CDA OLTRE I 4 MILIONI: +14%

Mentre, a detta del vertice Itas, le indagini interne sull’ex direttore generale Ermanno Grassi erano già state avviate, la compagnia ha continuato a gratificare il top manager, l’alta direzione e gli stessi consiglieri di amministrazione del gruppo di continui aumenti di retribuzioni e compensi.

Dal primo marzo 2016 è scattato per Grassi un aumento di stipendio di 150 mila euro lordi annui, di cui, come si spiega nella comunicazione del presidente Giovanni Di Benedetto allo stesso Grassi, 100 mila euro lordi «quale assegno per l’importante carica da Lei ricoperta» e 50 mila euro per la produttività.

Nel frattempo partivano anche gli aumenti agli amministratori. Ad esempio nella controllata Itas Vita l’assemblea del 28 aprile 2016 delibera di aumentare il compenso annuo lordo per consigliere a 10 mila euro. Tutto questo dopo che nel 2015 era stato toccato il record di 4 milioni 80 mila euro di compensi totali per amministratori, sindaci e i quattro dell’alta direzione del gruppo, Grassi in testa. Una cifra superiore del 13,9% ai 3 milioni 582 mila euro complessivi del 2014. La giustificazione generale di tutti questi aumenti è la nuova dimensione del gruppo dopo l’acquisizione dei rami italiani della compagnia assicurativa britannica Rsa Insurance Group.

Perciò, nonostante le rassicurazioni del vertice, cresce il malessere interno all’Itas per lo scandalo Grassi. Anche a livello di consigli di amministrazione il disagio è palpabile. E c’è chi si spinge a dire che «se in assemblea non si farà chiarezza, io non ci sto più e lascio».

Nessuno vuole danneggiare l’Itas, che rimane un patrimonio della società trentina. Ma non convincono appieno le affermazioni del presidente Di Benedetto che sostiene che l’attenzione su Grassi c’era da tempo e richiami e sospensioni sono arrivati ben prima della scorsa settimana. Il disagio è accentuato proprio dai reiterati aumenti di compensi e retribuzioni al direttore e agli stessi amministratori.
Nel 2013 i compensi ai consiglieri di amministrazione del gruppo Itas ammontavano complessivamente a 1 milione 647 mila euro. Di essi, 934 mila euro andavano ai 17 componenti del cda della capogruppo Itas Mutua.

Ai collegi sindacali erano destinati in tutto 394 mila euro. All’alta direzione, cioè il direttore generale, il vice, il direttore assicurativo e il direttore commerciale, andavano 1 milione 258 mila euro, di cui la parte maggiore era per Grassi. In totale 3 milioni 299 mila euro.
L’anno dopo, nel 2014, i compensi totali di amministratori e direttori salgono dell’8,6% a 3 milioni 582 mila euro. Di essi, per i cda ci sono 1 milione 809 mila euro, in aumento del 9,8% sull’anno precedente, per i sindaci 429 mila euro e per l’alta direzione, in primis Grassi, 1 milione 344 mila euro, con un incremento del 6,8%, che si ripeterà anche nel 2015, quando gli emolumenti per i quattro direttori salgono a 1 milione 435 mila euro.

In quell’anno fanno un balzo i compensi agli amministratori, arrivati a 2 milioni 172 mila euro, il 20% in più dell’anno prima, portati su però anche dall’ampio avvicendamento nei cda.
L’anno scorso l’assemblea di Itas Mutua vota le «politiche di remunerazione» in cui si privilegia un sistema incentrato sulla componente fissa più che su quella variabile. Da qui il maxi aumento a Grassi solo per un terzo legato ai risultati aziendali.

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