Paganella / La storia

Miracolato in montagna: «Senza medico in pista ho rischiato di morire»

Sono passati otto mesi dall’incidente su una pista da sci della Paganella di cui è stato vittima il forte scalatore Emanuele Andreozzi. Solo da poco ha ripreso a camminare

PAGANELLA. «Sono passati più di 8 mesi da quel maledetto 4 marzo ma la mia gamba è ancora ben lontana dal funzionare normalmente». Il 29enne Emanuele Andreozzi è il protagonista di una storia per certi versi miracolosa, ma che offre anche spunti di riflessione in vista della stagione turistica invernale.

«Quel giorno, un venerdì, ero sulle piste della Paganella per prepararmi all'esame di tecnica sciistica del corso di guida alpina, che stavo frequentando a Trento» spiega Andreozzi, alpinista emergente di classe cristallina: papà siciliano e mamma olandese non gli hanno infatti impedito di innamorarsi fin dall'infanzia dell'alta quota. Sono decine le vie nuove aperte da Andreozzi nelle Dolomiti e sulle Alpi Occidentali oltre i 4000 metri, oltre a una linea in Pakistan over 6000.

«Amo scalare su ghiaccio e terreno misto» ci racconta. Ma quel maledetto 4 marzo resta indelebile sul suo fisico. La mente torna a quegli attimi: Emanuele è fermo a bordo pista, in una posizione sicura, sguardo verso valle. A un certo punto il buio: su di lui piomba con gli sci a tutta velocità un ragazzo (un 16enne) che lo travolge.

Per Andreozzi è l'inizio di un incubo: «Per l'impatto sono volato distruggendomi una gamba. Sono rimasto a terra agonizzante per oltre un'ora nell'attesa che arrivasse l'elicottero: quel giorno l'unico disponibile era impegnato in altri due soccorsi. La coscia era dilaniata dalle fratture: ero per terra e urlavo circondato dal soccorso pista e dai Carabinieri (che non smetterò mai di ringraziare), tutti impotenti dato che nessuno poteva darmi un aiuto. L'unico in potere di somministrare farmaci è un medico, il soccorso pista non può fare assolutamente nulla» continua Andreozzi.

«L'elicottero è arrivato appena in tempo perché il mio cuore ormai stava per cedere, sentivo che stavo per andarmene ed è stato terrificante. I medici appena sbarcati dall'elicottero hanno lavorato un'altra ora prima di riuscire a caricarmi».

Dopo il ricovero, l'operazione d'urgenza e la conferma dei sanitari: «Erano sorpresi, secondo loro con un trauma del genere normalmente si muore. Mi hanno detto che sono sopravvissuto grazie alla corporatura da atleta, ma che una persona comune sarebbe morta».

Una sottolineatura che Andreozzi ci tiene a fare proprio per lanciare un appello: «Sappiate che sulla pista della Paganella, così come in Bondone e nella maggioranza degli impianti, non c'è nessun medico di servizio. La cosa, alla luce di quello che mi è successo, credo andrebbe ripensata dalla Provincia. Sciare in pista non è andare su una montagna selvaggia, dove chi vi si avventura è cosciente dei rischi e li accetta. Qui stiamo parlando di una pista da sci. Credo che il turismo si faccia anche offrendo servizi, non lasciando morire la gente su una pista per una falla macroscopica nel sistema di soccorso» chiosa Andreozzi che sottolinea come, nel suo caso, pur con tutta la buona volontà dei presenti sia mancato il necessario supporto medico.

E la gamba, ora, come va? «Purtroppo dopo l'incidente ho avuto dei seri intoppi nella guarigione. Sono stato operato tre volte in un mese in anestesia totale e ora mi si prospettano almeno altre due operazioni perché oltre alle fratture multiple al femore ho avuto anche diversi danni al ginocchio. Mi sono pagato operazioni private per oltre 30.000 euro ma oggi zoppico ancora, nonostante la fisioterapia mi stia facendo migliorare di settimana in settimana. Non so se tornerò a camminare normalmente, i medici non si sbilanciano a riguardo».

Nei giorni scorsi Andreozzi è comunque ritornato sulle sue amate montagne: «Qualche giorno fa ho postato la mia salita della Cresta Albertini in Val d'Aosta. L'ho fatta piano e con mille cautele, con l'ok dei medici e zoppicando. Per ora impiego il triplo rispetto ai miei tempi del passato. Non mollerò, ma è davvero un percorso duro».

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